Isabella Rauti e Ignazio La Russa ricordano, giustamente, l’anniversario della fondazione dal MSI e i loro padri che vi parteciparono ma scatenano, come la trombetta del battitore alla caccia alla volpe, la muta dei cani di Pavlov politici e mediatici che si producono in una ridicola ed inutile gazzarra basata su una sgangherata equazione: celebrare il MSI=celebrare il Fascismo.
In prima fila a dettare la linea, ovviamente, il prode Paolo Berizzi con le sue assurdità e Repubblica con una prima pagina grottesca e toni sdegnati, seguiti a ruota da una variegata congrega di politici e parlamentari di sinistra. Berizzi, oltre al consueto ciarpame del suo repertorio, arriva addirittura ad invocare il presidente Mattarella affinchè rimuova per “inadeguatezza” La Russa dalla presidenza del Senato, una bestialità, giuridica e non, spiegabile solo con una personale e remunerativa strategia di marketing: spararla sempre più grossa, non importa con quanto fondamento (anzi meglio senza), per eccitare una audience faziosa e fanatica e garantirsi così visibilità e rinforzare la fama di nemico dei “fascisti” cioè di tutti quelli che non la pensano come lui.
Se un comportamento del genere può essere tutto sommato comprensibile per un furbo giornalista in carriera, non altrettanto si può dire per chi ricopre un ruolo politico più o meno consistente (meno) in quello stesso Parlamento nel quale il MSI ha democraticamente rappresentato per quasi 50 anni milioni di elettori e nel quale, finchè è esistito, ha democraticamente contribuito al dibattito politico.
Fatti che sfuggono, da capire se per ignoranza o per fanatismo, alla combriccola degli schiamazzi, personaggi come, ex multis, Simona Malpezzi (“le uscite nostalgiche verso il MSI sono gravi. Chi rappresenta le Istituzioni non può non ricordare che le radici democratiche del Paese e la nostra Costituzione sono antifasciste”); Brando Benifei, che oltretutto visto quello che sta succedendo nel suo gruppo a Bruxelles avrebbe ben altro di cui occuparsi (“La Russa non può celebrare l’anniversario della fondazione del MSI. Ha giurato sulla costituzione e questa ricorrenza è incompatibile col suo incarico” (sic!); Walter Verini (“Celebrare fascismo e fascisti come fanno La Russa e Rauti è offensivo per l’Italia democratica”); o il carneade Provenzano (chi è costui?) che “chiede il conto” a Giorgia Meloni.
Affermazioni grossolane, isteriche e senza senso che non tengono conto dei fatti e della storia. Come oramai ampiamente riconosciuto dalla storiografia, il MSI aveva sempre rispettato le regole della democrazia parlamentare ed aveva contribuito a reinserire nella vita democratica gli sconfitti della guerra civile, costituendo nei fatti un elemento di pacificazione e legittimazione del neonato sistema democratico.
Autorevolissimi personaggi della sinistra, ben più seri ed importanti dei nanerottoli politici sopra citati, hanno sempre rispettato, da duri avversari ma con onestà, il MSI e il suo ruolo.
Basti pensare a Giorgio Napolitano: “Il Parlamento è stato il luogo in cui si è svolta la parte prevalente della lunga attività politica di Almirante, per l’intero arco delle prime dieci legislature repubblicane. Egli fu sempre consapevole che solo attraverso il riconoscimento dell’istituzione parlamentare e la concreta partecipazione ai suoi lavori, pur da una posizione di radicale opposizione, rispetto ai governi, la forza politica da lui guidata avrebbe potuto trovare una piena legittimazione nel sistema democratico nato dalla Costituzione. In questo quadro – continua Napolitano – egli ha avuto il merito di contrastare impulsi e comportamenti antiparlamentari che tendevano periodicamente ad emergere, dimostrando un convinto rispetto per le istituzioni repubblicane, che in Parlamento si esprimeva attraverso uno stile oratorio efficace e privo di eccessi anche se aspro nei toni. Giorgio Almirante è stato espressione di una generazione di leader di partito che, pur da posizioni ideologiche profondamente diverse, hanno saputo confrontarsi mantenendo un reciproco rispetto, a dimostrazione di un superiore senso dello Stato che ancora oggi rappresenta un esempio”.
O al gesto altamente simbolico di Giancarlo Pajetta che accoglie Almirante, in fila come un comune cittadino, a Botteghe Oscure per accompagnarlo alla camera ardente di Enrico Berlinguer o ancora allo stesso Berlinguer che nel periodo peggiore degli anni di piombo incontrava segretamente Almirante per confrontare informazioni e concordare posizioni comuni contro il terrorismo.
Fatti e situazioni che i mediocri figuranti della sinistra di oggi, incapaci di trovare argomenti decenti, non conoscono e/o non capiscono. Come, d’altra parte, non capiscono che la strategia politico-mediatica ispirata da giornalisti fanatici e caratterizzata dalla bava alla bocca di un antifascismo provocatorio e caricaturale ha portato la sinistra ad una delle più gravi sconfitte degli ultimi anni. Ma invece di cambiare registro, nel loro stesso interesse, insistono in una bizzarra coazione all’errore.
Ciò detto, la questione si presta anche a qualche scomoda considerazione da destra. Cosa direbbero i fondatori del MSI oggi legittimamente celebrati se vedessero i loro eredi, politici e anche familiari, in un partito finalmente arrivato al governo ma con la linea politica dettata da un mediocre mestierante democristiano, quella economica, cristalizzata in una legge di bilancio indistinguibile da quella che avrebbe scritto Mario Draghi, che segue non i principi della destra sociale ma quelli di un liberismo di seconda mano, improvvisato, mal digerito e funzionale ai poteri economici, ed appiattito in politica estera su un atlantismo esagerato ed esageratamente ossequioso verso posizioni apertamente in contrasto con l’interesse nazionale e con il nostro tradizionale ruolo di mediazione, oltretutto strombazzato con toni da operetta: “L’eroica resistenza contro l’invasione russa. Gli ucraini stanno mostrando ai tiranni di tutto il mondo quanto possa essere difficile mettere le catene a un popolo libero. Siamo tutti debitori a questo popolo coraggioso che difende la libertá” ha declamato recentemente uno dei caporioni del cerchio magico meloniano.
Certo Parigi val bene una messa, la politica è l’arte del possibile e senza il consenso dell’amico amerikano sarebbe stato difficile entrare a palazzo Chigi e ancora di più rimanerci.
Però, come insegna il Doktor Faust, vendersi l’anima per il potere alla lunga non è mai un buon affare.