Mentre le gazzette quotidiane di proprietà, di ispirazione e di fede berlusconiane, chè il berlusconismo non è davvero un’idea, un programma ma una credenza assoluta, perentoria ed infallibile, sono instancabili nello sbandierare sondaggi trionfalistici, costruiti, comunque sull’ubbidienza e sulla devozione cieche ed assolute al “verbo” di Arcore.
Gli ultimi dati assegnano al centrodestra una percentuale del 36,4%. Altri, invece, maligni ed irriverenti (Nando Pagnoncelli), sostengono risultati da cui emerge una doppia sconfitta dell’autocrate di Arcore: nonostante il suo presenzialismo e lo sfrenato contorno propagandistico il minestrone di Forza Italia, in attesa di assumere le sembianze dell’armata Brancaleone, segna un incremento rispetto al luglio scorso più che scadente (0,6%) mentre il Movimento Cinque Stelle, indefessamente demonizzato, anche per conto del sodale di ieri, (di oggi) e di domani, “fra luglio ed oggi fa un balzo di quasi due punti passando dal 27, 5% al 29,1%. Si tratta di una previsione sicuramente opinabile come sono confutabili le indicazioni propagandistiche di casa Berlusconi.
Secondo i dati curati dall’ Ipsos la Lega risulterebbe l’unica tra le 3 parti a segnare un decremento non netto ma eloquente ( – 0,8%) con FdI persino, nonostante la sua debole struttura, in aumento dello 0,4%.
La linea di Salvini, oltre ad essere fastidiosamente urlata e del tutto inconcludente, appare velleitaria, ambigua ed insincera. E’ arduo segnarne gli aspetti tollerabili nel momento in cui pretende di lasciare intatti i contenuti localistici per assumere quelli nazionali, o meglio, interregionali, conservando gelosamente, fanaticamente i simboli da sempre ostentati, il leone di S. Marco ed Alberto da Giussano, per dirla con Checco Zalone, il Power Ranger.
E’ principalmente insincera la metamorfosi del movimento, appena pochi mesi dopo aver promosso e sostenuto referendum , impostati sulla distinzione del resto delle regioni italiane, sfruttatrici e profittatrici delle capacità produttive ed imprenditoriali del Lombardo Veneto.
Si palesa sempre più inaccettabile e insostenibile il progetto berlusconiano del recupero delle “varie sigle in libera uscita”, tra cui – “Il Giornale” non lo nasconde più – persino la fazione agli ordini di Verdini.
Gli elettori del centrodestra, fedeli e coerenti, di fronte alle candidature, predisposte nelle “secrete stanze”, di “figlioli prodighi”, reduci da esperienze contrapposte alle loro, “non uccideranno davvero il vitello grasso”, anzi si terranno ben alla larga, rinfoltendo le fila degli astensionisti, incredibilmente dati in diminuzione. Così come saranno tutt’altro che bendisposti verso i candidati “esponenti della società civile” o “espressione delle categorie imprenditrici”, per anni assenti, distratti o addirittura schierati con la sinistra ora in crisi, prodiga con lo Jobs act.
La destra, prima di appagarsi con i contentini programmatici, promessi e chissà mai se assegnati, una volta conquistato il potere sotto una guida tutta da individuare o costruire (si è ascoltata la bestemmia di Calenda), dovrebbe curarsi di invitare al rispetto della storia i fogli berlusconiani.
Non è digeribile che il direttore de “Il Giornale”, di fronte alle misure discriminatorie assunte a carico di Dell’Utri, le definisca, in linea con il modulo conformistico, come “vero fascismo” mentre più onesto, più corretto e più sensato sarebbe indicarle espressione e dimostrazione di “vero comunismo”, quello cinese, ad esempio, con cui tanto operano gli imprenditori, vicini al cuore del “Grande Capo”.
La destra ritrovi sé stessa e corra autonomamente per conquistare credibilità. Non possiamo ritrovarci con un Berlusconi disposto ad imbarcare chiunque, anche la feccia, ed un Salvini che strumentalmente cavalca il revanscismo dei nuovi alfieri della padania: i poveri storace ed alemanno ieri con Marchini, oggi con Calderoli e Borghezio. Andiamo da soli o perderemo consensi.