Ne “Watcher” un’attrice americana di nome Julia si trasferisce a Bucarest per stare vicino al marito che lavora nella capitale romena. In breve tempo Julia concretizza una sua “impressione”: ovvero che un uomo la guarda con insistenza morbosa dalle imposte del palazzo di fronte, e che poi abbia iniziato a seguirla per ucciderla, perché si tratta di un serial killer di quell’area urbana, noto in modo macabro come “Il Ragno”. Il risultato dell’opera prima alla regia di Clohe Okuno oltrepassa il genere manualistico d’etichetta, seguendo in maniera originale riferimenti cinematografici che portano dritti e senza indugio a classici quali: La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock e a Rosemary’s Baby di Roman Polanski.
Okuno rende omaggio ai maestri del “settore” riservato alla critica cinematografica, al fine di agevolare la visione della pellicola sottraendola ad una sorta di ermetismo psicologico che avrebbe potuto proiettare la pellicola in un vicolo cieco. Julia cede la sua personalità alla sua emotività a scapito del ragionamento logico. Francis, il consorte di Julia, finisce anche lui per giudicarla, non una mitomane, ma vittima di un forte stress. Esiste realmente “Il Ragno”? Okuno sembra indicare Francis, che invita a cena il suo capo e, non avendo la delicatezza di tradurre le loro conversazioni a Julia, che diventa così l’incarnazione della solitudine, sua stessa, esistenziale e profonda.
Alienante è la Bucarest che Watcher ci mostra, con i suoi edifici necessitanti di ristrutturazione, le sue strade grigie e piovose, l’atmosfera plumbea, di una città inospitale, oltre che straniera. L’edificio che contiene l’appartamento di Julia e Francis è ordinato, i soffitti alti, le stanze quasi vuote, i vicini eccessivamente rumorosi. Non è contemplato il silenzio, è grave. Nello spettatore più smaliziato, il “Ragno”, sul set di ciak in ciak, potrebbe prendere talvolta le sembianze di Norman Bates in “Psycho” per essere, o forse no, l’assassino seriale che ferisce a morte o decapita le donne. Watcher riesce ad andare oltre le tracce dei maestri menzionati, il verbo: to watch, significa infatti osservare e (l’uomo della finestra di fronte) diviene oggetto d’osservazione. Julia e l’ipotetico killer seriale invertono i ruoli: fughe, inseguimenti, incontri casuali e formali. È questo l’elemento di pregio della plot interna alla sceneggiatura, che lo rende carico di tensione.
Nonostante un montante di capitale relativamente basso, la pellicola, è la nostra visione, risulta ben confezionata dalla direzione cinematografica, e dalla produzione quasi sempre chiara e precisa, infatti non ignora o trascura la focalizzazione dei dettagli in scena. “Watcher” possiede una forma narrativa e ritmica tale che Julia, sacrificando la propria identità (anche professionale) per seguire il marito in una località a lei aliena, è costretta nella dimostrazione esistenziale verso gli altri di non essere una volgare mitomane. In fondo è proprio la quasi assenza di autostima della moglie e l’appannamento della sua anima a proiettare sul marito l’alienazione di Julia in un soggiorno est europeo che probabilmente non andava effettuato per una “figlia” socialmente e psicologicamente degli U.S.A. “Il ragno” può così tessere la propria tela dalla prima all’ultima sequenza. Quando scorrono i titoli di coda abbiamo visto una pellicola non maschilista, non femminista…profondamente thriller.