Da oltre un anno lo Yemen, uno dei paesi più poveri (e più belli) del mondo, è spezzato da una guerra terribile. Per l’Arabia Saudita — ormai in piena crisi interna — si tratta di un “conflitto di prossimità” contro l’Iran, principale sponsor della popolazione houti (islamici sciiti) in lotta contro il potere centrale sunnita.
“Stranamente” sui fatti yemeniti è calata un’assordante cortina di silenzio: nonostante l’alto numero di vittime civili (oltre 10mila secondo Medecins sans frontiers) dei bombardamenti dei sauditi, i mass media occidentali ignorano ogni cosa. Merito dei denari di Riyadh? La domanda è d’obbligo.
Di certo, la coalizione sunnita (sauditi, marocchini, egiziani, emiratini, sudanesi) è in difficoltà sul terreno: i ribelli houti, ben riforniti dagli iraniani di missili tattici Scud e Tochka, si sono dimostrati un osso ben più duro del previsto. Per evitare il disastro i sauditi sonostati costretti a fare ricorso (tramite Eric Prince, il fondatore della solita Blackwater) a contractors d’ogni tipo. Un’inchiesta del New York Times sostiene che nello Yemen sono attualmente operativi oltre 800 mercenari, per larghissima parte ex soldati sudamericani guidati (ovviamente) da quadri britannici e australiani.