Il piacere sessuale è, indubitabilmente, il maggior dono che ci ha regalato Madre Natura. Che certo non lo ha fatto per benevolenza nei confronti degli animali che frequentano il globo terraqueo, quanto per necessità di auto conservazione; senza di esso, nessuna specie avrebbe minimamente messo in conto di riprodursi in continuazione. Neppure l’uomo, nonostante quanto si siano sforzati di narrare poeti, preti e filosofi di ogni epoca. L’ultimo tentativo di incitazione, non a caso, ha smesso di far leva sull’ “innato istinto genitoriale”, e volge alla cruda e prosaica circostanza che “se non si producono nuovi marmocchi, chi ci pagherà le pensioni?”.
E che la libera pratica sessuale (originariamente gratuita anche per la specie umana) rappresenti un elemento di emancipazione e crescita, è comprovato dalla circostanza che quasi tutte le religioni ne abbiano storicamente demonizzato il ricorso; riuscendo così per secoli a soggiogare il libero arbitrio dei fedeli, costretti dalla superstizione indotta a subire innaturali colpevolizzazioni e a pensare che la cosa più naturale della vita sia “una roba sporca”.
Sono viceversa così convinto della assoluta, spontanea naturalità del desiderio sessuale, da non condannare aprioristicamente alcuna pratica, gusto, propensione o frequentazione condotta tra persone consenzienti. E, a proposito, credo che sarebbe magari il caso di aggiornare anche i limiti anagrafici: se, a parere di taluni personaggi politici altamente considerati dal mainstream, ai sedicenni andrebbe riconosciuto il diritto di voto, non si capisce perché dovrebbe esser loro impedita la libertà di scegliere con chi condividere le gesta erotiche.
Altro discorso, poi, è la pretesa di considerare (o peggio che mai imporre per legge) che tutto ciò che è lecito debba essere anche considerato “normale”. Che non è dato di conoscere di un’abat-jour che sia mai stata accesa per il tramite della congiunzione tra due spine o tra due prese di corrente, essendo obbligatoriamente necessario – per produrre l’evento terzo – l’unione tra i due strumenti tra loro diversi.
Ma tant’è, pur essendo (anche sotto questo aspetto) fortemente conservatore, non sono infastidito dall’esistenza di altre propensioni, finché esse non trascendono in continua ricerca di pubblica ostentazione e non di rado pretesa di privilegio.
E mi limito qui a rilevare la circostanza che nella società odierna, non solo non vi sono giustamente più vere discriminazioni ai danni di chi è attratto da persone del proprio stesso genere, ma addirittura prevale ormai in alcuni ambiti la conventio ad escludendum verso chi è ancora affascinato da l’ “origine du monde”. Provate ad essere dei cultori della patatina e cercare di accedere al mondo della moda, della pubblicità, della televisione; ad aprire un salone di bellezza o frequentare una scuola di ballo; sareste ostracizzati senza esclusione di colpi e considerati dei “drop out”.

Per questo, in materia di estrema attualità, sono contrario ai contenuti del tanto sbandierato disegno di legge “Zan”, dal nome del deputato piddino depositario, di cui non ricordo di aver mai sentito la voce nei 5 anni della precedente legislatura, e che forse meglio avrebbe fatto a continuare a tacere anche in questa.
Perché il vero elemento che i sostenitori della proposta intendono indurre, è imporre una discriminazione “a contrariis” per cui nei confronti di alcuni non potrebbero essere indirizzate valutazioni o commenti tradizionalmente accettate nell’uso comune. Così, ad esempio, se il disegno di legge fosse approvato, prima di dare dello “scemo” a qualcuno che vi ha provocato un danno per manifesta stupidità, dovreste sincerarvi di chi frequenta sotto le lenzuola. Che caso mai appartenesse alla categoria emergente, vi farebbe causa per discriminazione sessuale e voi non avreste scampo innanzi alla magistratura già notoriamente asservita al pensiero unico.
Quindi, in funzione delle modalità di accoppiamento, ci sarà chi potrà essere contestato ed avversato e chi no; determinando, a favore di quella che – piaccia o no – rimane una minoranza, la legittimazione a quelle discriminazioni che il testo si prefiggerebbe nominalmente di impedire.
Tralascio, per non appesantire troppo il mio scritto, le valutazioni di maggior merito; valga solo la menzione dall’articolo 1, in cui si definisce “identità di genere” l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Hanno proprio scritto così; come se, tornando all’esempio precedente, voi chiedeste all’elettricista una presa di corrente e quello vi proponesse una spina, spiegandovi che la stessa ha scelto di sentirsi presa.
Io, che non a caso da liberista indomito preciso sempre di non riuscire a definirmi un liberale, prescriverei a chiunque abbia partecipato alla stesura di quel comma una cura giornaliera imperitura costituita dalla somministrazione – da mane a sera – di ceffoni assestati a due alla volta, finché diventano dispari.
E siccome il testo non è ancora legge, e mi è ancora consentito un linguaggio che includa il riferimento ad organi sessuali, ne approfitto per bollare i suddetti redattori come immani “teste di cazzo”.