Antonello da Messina, uno dei più grandi artisti di sempre, ha lasciato un catalogo non vastissimo: perché morto a 49 anni (stando a Vasari, che pure ha lasciato molte informazioni errate; è comunque documentato che il pittore sia morto tra il 13 e il 25 febbraio 1479), e perché le sue opere sono state spesso vittime di conservazioni sciagurate. La Pala di San Cassiano (dalla chiesa veneziana per il cui altare era stata commissionata da Pietro Bon) è stata smembrata nel ‘600, il Trittico dei Dottori della Chiesa è stato coperto da sovrapposizioni ‘700sche, il Cristo morto sorretto da tre angeli è stato in parte cancellato dall’applicazioni di abrasivi nell’Ottocento.
Palazzo Reale a Milano ospita, in questi mesi, un’esposizione sobria ed elegante di buona parte delle opere del grandissimo artista siciliano, dominatore assieme a Jacopo Bellini del primo ‘400 veneziano (non per nulla, nell’anticamera della mostra sta il solo dipinto “ospite”: un quadro romantico del 1870, di R. Venturi, che immagina una scena con uno dei figli di Jacopo: Giovanni Bellini apprende i segreti della pittura a olio spiando Antonello). Un’occasione per vedere fuori da Palermo la magnifica Annunciata, con la sua mano che squarcia lo spazio, lo sguardo spiazzante e l’epocale manto cobalto: agli organizzatori milanesi è servita tantissima diplomazia per convincere la sovrintendenza di Palazzo Abatellis a prestare il bellissimo e preziosissimo dipinto, riprodotto sui manifesti della mostra.
Ottima l’idea di non seguire la tendenza, dominante negli anni scorsi, ad affollare le mostre monografiche con dipinti di altri artisti, affidandosi invece a disegni e appunti di un grande esegeta. Intitolata semplicemente Antonello da Messina. Dentro la pittura, la mostra è un intelligente percorso fra i dipinti del maestro e gli appunti di Giovan Battista Cavalcaselle (come lo chiamerà Roberto Longhi: il principe dei connoisseur) …

Pochi i dipinti, e per lo più di ridotte dimensioni (Antonello prediligeva piccole tavole lignee, quasi sempre in rapporto altezza/base 4:3). Anziché riempire le pareti rischiando combinazioni cacofoniche, è stata saggia la scelta di isolare le tavole al centro di pareti semplicissime, distanti dalle didascalie. Soli elementi di consistenti dimensioni, gli ingrandimenti dei disegni di Cavalcaselle, fedelissimi agli originali antonelliani.

Mancano alcuni dei pezzi forti del catalogo antonelliano (l’Advocata di Como, la Madonna Salting, il Condottiero di Parigi, il San Sebastiano di Dresda, il Cristo in pietà del Prado, l’Annunciazione di Siracusa e il Salvator Mundi della National Gallery, già “star” di una ricchissima mostra dell’ottobre 2013 – gennaio 2014 al MART di Rovereto). Ma non è un problema, i pièce de résistance ci sono: non potrebbe essere altrimenti, in un’esposizione monografica dedicata a un artista tanto grande; mostra che infatti si apre con una sala dedicata a uno dei quadri più grandi (a onta della dimensione: trattasi di tempera su di una tavola di 46×36 cm, custodita alla National Gallery di Londra) di sempre, San Girolamo nello studio, magnifico studiolo umanistico collocato con costruzione prospettica sapientissima in una bellissima struttura tardogotica, con dettagli che dimostrano la pienissima ricezione, da parte di Antonello, della pittura fiamminga; e si chiude con una saletta dedicata allo struggente Ecce Homo di Piacenza (Collegio Alberoni) e al Cristo in pietà sorretto da tre angeli, nel cui paesaggio (siciliano) si riconosce quella che sarà la specialità di Giovanni Bellini, dipinto che deve parte del suo fascino, ahinoi, al nefasto intervento ‘800sco, attuato da restauratori incapaci che hanno eliso i quattro volti e alcuni arti applicandovi degli abrasivi. Al centro del percorso, il Ritratto d’uomo di Cefalù, al centro d’una polemica fra Roberto Longhi e Vincenzo Consolo, “colpevole” d’avergli dato nomea d’essere un “ignoto marinaio”.
La citata mostra roveretana era un viaggio nell’epoca di Antonello, infatti nel suo spazio espositivo campeggiava la celebre veduta ‘500sca di Venezia di Jacopo de’ Barbari, ad affermare il ruolo dominante dell’artista siciliano sulla pittura veneziana e non solo – la sua influenza su tutta l’arte rinascimentale successiva. Questa mostra isola Antonello e ne isola le opere. Le sue piccole tavole restano grandiose, col loro splendore che le fa non smarrire, ma spiccare in sobrie pareti. E anche senza mostrare ciò che è stato prima di Antonello (i fiamminghi che ne sono stati i riferimenti prediletti: Jan Van Eyck e Rogier Van Der Weyden; Colantonio e la Napoli resa bellissima da Renato d’Angiò e da Alfonso il Magnanimo: arte prima angioina, poi catalana; il maestro di prospettiva, Piero della Francesca), e quel che è stato dopo (il trionfo a Venezia del colorismo e della modulazione tonale, proprio da lui fatti prevalere sul disegno e la definizione grafica dei contorni; lo splendore dell’arte ritrattistica, in cui dopo di lui eccellerà il più grande fra i suoi compagni di percorso, Giovanni Bellini); dicevamo, anche senza mostrare ciò che Antonello ha imparato, e ciò che ha insegnato, dalle sue stesse opere se ne vede l’importanza fondamentale, la grandezza, la monumentale bellezza.
Antonello da Messina. Dentro la pittura
Milano, Palazzo Reale, 21 febbraio – 2 giugno 2019
- Lunedì: 14:30 – 19:30 (9.00 – 14.30 solo scuole)
- Martedì – Mercoledì – Venerdì: 09:30 – 19:30
- Giovedì e Sabato: 09:30 – 22:30
- Domenica: 09:30 – 19:30
La biglietteria chiude un’ora prima