La Campania va alla guerra per i suoi porti. O meglio: in Campania Salerno va alla guerra per difendere l’autonomia del suo porto. Contro Napoli e contro Roma.
Il nemico numero uno è il decreto sul riordino del sistema portuale voluto dal governo Renzi che si propone di ridurre il numero delle Autorità Portuali, tagliate da 24 a 15 secondo l’ultima versione del testo. L’altro nemico è l’Autorità del Tirreno centro meridionale: il nuovo ente-monstrum che dovrebbe inglobare le Autorità Portuali di Napoli e Salerno. Ovvero, vista la preponderanza politica del capoluogo regionale, fagocitare quest’ultima.
Peccato, però, che un simile provvedimento sia tutt’altro che efficiente –questo il mantra utilizzato da Renzi insieme a “risparmio” per motivare il disegno di riordino- e migliorativo dell’esistente. E lo dimostra la storia dei due enti coinvolti. L’Autorità Portuale di Napoli è reduce da un lungo periodo di commissariamento –in meno di tre anni quattro commissari si sono alternati alla sua guida- e non brilla certo per capacità gestionali e risultati: tra il 2012 ed il 2014 Napoli ha già restituito 33 milioni di euro di fondi comunitari perché incapace di avviare i progetti finanziati ed ora, sul Fers 2007/2013, si appresta a restituirne altri 150.
L’ente “gemello” di Salerno -guidato regolarmente da un presidente, ergo non in regime straordinario-, può mettere sul tavolo investimenti e risultati di tutto rispetto. Negli ultimi anni sono stati investiti qualcosa come 200 milioni di euro -quasi tutti fondi europei- nel potenziamento ed adeguamento infrastrutturale. Ed i risultati non sono mancati: dal 2010 al 2015 il traffico passeggeri è aumentato del 10%, quello di contenitori del 53%, quello di veicoli del 36% (i veicoli commerciali + 19%). Il totale delle merci movimentate è aumentato del 32%, raggiungendo nel 2015 i 13 milioni di tonnellate. Dato che fa di Salerno il sesto porto in Italia per movimento merci (escluso il settore idrocarburi).
E’ tutto in questi numeri il senso del paragone, impietoso, con Napoli e del timore degli operatori economici salernitani (e non solo, considerato che sul porto di Salerno confluiscono importanti flussi di traffico dalla Basilicata, dalla Puglia e, ovviamente, dalle province interne della Campania) per gli esiti di una “fusione fredda”, come l’ha definita il presidente della Camera di Commercio di Salerno Andrea Prete, tra le due Autorità Portuali campane.
Di qui la decisione di ben diciotto associazioni di categoria, insieme a Camera di Commercio, di sottoscrivere un documento da inviare al presidente del Consiglio Renzi ed al governatore campano De Luca (costretto a muoversi con prudenza per non scontentare vecchi (salernitani) e nuovi (napoletani) amici). Quasi un unicum nella storia della, spesso, rissosa storia dell’associazionismo imprenditoriale salernitano.
Nel mirino soprattutto il rottamatore Renzi e per la sua spending review. “Capisco –dice Andrea Prete, presidente della Camera di Commercio- che chi è al governo voglia dare impressione di efficienza e risparmio tramite gli accorpamenti, ma non sempre agire in tal modo porta a risultati in termini di ottimizzazione e risparmi. E il caso dello scioglimento, almeno annunciato, delle Provincie lo dimostra. Del resto all’inizio la riforma prevedeva di ridurre a sei le Autorità Portuali dalle 24 preesistenti, oggi siamo già a 15: non mi sembra questo gran risultato”.
Ancora più drastico il giudizio di Agostino Gallozzi, presidente di Assotutela (associazione per lo sviluppo del porto di Salerno). “Rispetto all’approccio puramente teorico –dice- di chi vorrebbe far ripartire l’Italia con gli slogan siamo noi, con le nostre aziende, a tentare di trasformare in realtà questo obiettivo. E noi conosciamo la realtà dei nostri territori, a differenza di chi al centro vive nell’ignoranza della realtà del Paese e prende decisioni senza senso”.
E tra le “decisioni senza senso” c’è anche lo squilibrio territoriale nella ripartizione delle Autorità Portuali: otto quelle previste a nord di Roma, solo quattro a sud della capitale. Un po’ troppo poco per quelle regioni che dovrebbero essere la proiezione d’Italia nel Mediterraneo.