Abbiamo già deplorato, in recenti articoli, lo stato dell’arte del giornalismo: da un disastroso articolo di Mediaset (TG Com 24) sulla “nuova” James Bond, all’ANSA che deride Rudolph Giuliani con la tinta dei capelli che cola sullo zigomo.
Appunto, l’ANSA: che in queste ore parte all’attacco di Trump, dal “bagno di folla senza mascherina” (il terrorismo sanitario va bene quando i trasgressori siano sovranisti e via dicendo): il tycoon sarebbe quindi colpevole d’aver messo a rischio l’incolumità dei suoi sostenitori, nonostante fosse sì a volto scoperto, ma assai distante da loro (affiancato dalla sola Melania); e soprattutto “Trump telefona a governatore Georgia per ribaltare voto”: come se chiedere di far chiarezza sui brogli (proprio laddove sono stati più evidenti) sia provare un golpe. Come se reclamare giustizia sia un atto di prepotenza.
A proposito di USA: gran successo per la copertina del “Time” che laconicamente definisce il 2020 “worst year ever”: il “peggior anno di sempre”. Tralasciando l’idea un po’ superstiziosa per la quale gli anni siano entità, spesso malevole (il 2016 uccideva cantanti e attori…): si sperava che la sentenza “2020 anno peggiore mai vissuto dall’umanità” fosse lasciata ai mediocri che la ripetono su Facebook per darsi un tono, per illudersi di essere dei martiri mentre aspettano che la buriana passi: uno dei tanti contentini per chi non fa niente ma consola con le “condivisioni”, le “catene”, pretendendo di aver salvato così il mondo.
Per carità: con tutto il doveroso rispetto per i defunti da Covid-19, per chi è stato contagiato, per chi è sopravvissuto ma ne ha avuto l’esistenza rovinata (perdendo il lavoro, l’attività…), e per chi si è dato e si sta dando da fare per offrire assistenza: la pandemia da coronavirus non è il momento peggiore che l’umanità abbia mai vissuto. Per rendersene conto, basta avere delle nozioni storiche da scuola elementare.
Finché legioni di sottoistruiti si danno pacche sulle spalle da soli perché arriveranno vivi al 2021 dopo mesi di scomodità, passi. Si deve avere pazienza. Quando però i redattori d’uno dei settimanali più noti (forse, il più noto) al mondo si abbassano al livello del boccalone medio, sostenendo anch’essi che il disagio di trascorrere mesi confinati all’interno del comune di residenza, con l’obbligo d’indossare la mascherina nei luoghi pubblici, sia una prova più atroce di quelle sopportate dalle popolazioni europee ostaggio delle incursioni barbare alla caduta dell’Impero Romano, o da chi ha affrontato le guerre mondiali, o per restare in ambito epidemiologico: chi ha fronteggiato le pandemie da peste (quella di Giustiniano, quella ‘300sca di Boccaccio, quella ‘600sca di Manzoni): allora l’inquietudine è doverosa.
Fra le sue varie conseguenze negative, la pandemia da coronavirus ha portato molto discredito al giornalismo. In Italia si è passati dalle foto, la scorsa primavera, del Naviglio milanese “affollato”: ossia, ripreso di sguincio, in modo da far sembrare grazie alla prospettiva che poche decine di persone in centinaia di metri fossero un assembramento; a Massimo Giannini che, purtroppo contagiato, ha pensato bene di far terrorismo, per darsi arie da Lazzaro redivivo una volta (sia lodata la Misericordia) guarito.
Che il “Time”, dopo decenni a dettar legge su qualsiasi cosa, sostenga che un’epidemia influenzale affrontata con i mezzi della medicina contemporanea sia per l’umanità una prova peggiore delle pestilenze fronteggiate con gli scongiuri e di due conflitti globali con rispettivamente 17 e 68 milioni di uccisioni, dimostra che sì, quello che si conclude fra poco meno d’un mese è stato l’anno più oscuro (sinora): per il giornalismo internazionale.
Perché sì, né a Milano né a Roma il 2020 è stato gioioso: ma si chieda ai nonni, se il 1944 e il ’45 sono stati, nelle medesime città, più allegri. Oppure si dia almeno un’occhiata al “Decamerone” e ai “Promessi sposi”.