Nato a Tripoli, discendente di siciliani e maltesi, il prof. Salvatore Bono è autore d’una vasta produzione di studi sul Mediterraneo e la sua storia. Il suo penultimo libro è “Schiavi. Una storia mediterranea” (Il Mulino, Bologna 2018); e sui risvolti tragici dei traffici che si sono incrociati in quello che una volta era il “mare nostrum” è ancor più recentemente tornato con “Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie”.

Bono parte da un mea culpa: avrebbe contribuito, con uno studio del 1993 (“Corsari nel Mediterraneo. Cristiani e musulmani fra guerra, schiavitù e commercio”) all’identificazione, smentita da molta storiografia accademica ma ancora molto diffusa, delle guerre corsare con lo scontro fra Europa cristiana e stati barbareschi islamici.
Il professor Bono tiene molto a smentire, fin dal paragrafo un po’ ecumenico col quale chiude la prefazione, a smentire questa coincidenza. Insiste molto al riguardo, con dovizia di argomentazioni e particolari. Insiste un po’ troppo: il tema poteva essere racchiuso nel quinto e ultimo capitolo (una tonante invettiva contro i luoghi comuni storiografici e mediatici), e lo riassume già bene al principio del terzo (“Corsari fra guerre e paci”), quando afferma ben chiaramente che “dal XVI secolo la guerra corsara mediterranea si intensifica notevolmente rispetto ai secoli precedenti poiché diventa, specialmente dopo la battaglia di Lepanto (1571), la forma, residua e costante, delle ostilità fra i due blocchi politico-militari (ispano-italiano e ottomano-maghrebino)” e, nel paragrafo successivo, chiosa che “dell’attività di corsari e pirati, dal Cinquecento e sino al suo esaurirsi intorno al 1830, salvo episodi successivi, rari e isolati, non si devono dunque vedere – ripetiamo – l’origine e la motivazione fondamentale nel confronto “islamo-cristiano” nel mare interno”.
L’Autore stesso si rende conto d’aver già ribadito il concetto – e siamo a metà libro. Eppure ha tanto da dire: i temi che individua e cui dedica quattro distinti capitoli sono, nel primo: la distinzione fra pirateria e guerra di corsa (argomento già affrontato, ma sempre interessante e affascinante); nel secondo, l’intreccio di “città, navi e uomini”, che gli rende possibile un viaggio dalle capitali della corsa barbaresca (Tunisi, Tripoli e Algeri) alla Malta degli temibilissimi cavalieri, oltre a una disamina su vascelli e altre imbarcazioni, e incontri con avventurieri, testimoni e ahinoi vittime; nel terzo, le lotte fra gli stessi corsari europei e la strenua difesa delle città portuali dai loro assalti; nel quarto, il traffico dei bottini.
“Guerre corsare nel Mediterraneo” è comunque un libro affascinante, e contribuisce a portare l’attenzione su di un tema che dovrebbe riceverne più di quella che al momento ha, soprattutto in ottica italiana. Che il Mediterraneo non sia più un “lago italiano” è il disastroso risultato di politiche che non vedono al di fuori dei confini nazionali (quando non provinciali).
Tutto ciò ha un corollario di fraintendimenti che comprende anche quello denunciato dal professore: la semplificazione che identifica le lotte nel bacino mediterraneo con un presunto scontro fra religioni, o addirittura civiltà. “Guerre corsare nel Mediterraneo” insegna a non banalizzare le grandi questioni storiche, e racconta quanto possa essere pernicioso ragionare per blocchi.
Salvatore Bono
Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie
Il Mulino, Bologna, luglio 2019
ppgg. 304, euro 24,00