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Non sempre sovranismo non fa rima con sovranità

di Gennaro Malgieri
15 Marzo 2019
in L'Editoriale
0
Non sempre sovranismo non fa rima con sovranità

I vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini al Quirinale durante la cerimonia dedicata al giorno della memoria, "Le donne della Shoah", Roma, 24 gennaio 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Il governo che non doveva mai nascere, sembra che stia per tirare le cuoia. Meglio tardi che mai. Dopo un anno di inconcludenti annunci, di drammatizzazioni eccessive, di figuracce rimediate sul piano internazionale, di diffidenze reciproche ricomposte soltanto per ragioni di potere (la sola cosa che ha funzionato è stata la spartizione delle poltrone, lottizzate come mai nella storia recente, in ossequio ai dettami della peggiore partitocrazia), comunque finisca la pochade sulla Tav, il “governo del cambiamento” è arrivato al capolinea.

Purtroppo il conto lo pagheranno gli italiani, molti dei quali, continuando a dare credito al duo Di Maio-Salvini, come attestano i sondaggi sia pure certificando la caduta verticale dei pentastellati, non si rendono conto che l’esecutivo contronatura ha portato l’Italia in recessione.




Bel primato per chi si proclama “sovranista”, concetto inesistente, frutto del marketing politico, insignificante sotto tutti i punti di vista e mai tanto abusato per coprire il vuoto della sovranità reale provocato non dai complottisti esterni (che ne ricavano utili insperati), ma dall’incapacità di chi ha alimentato divisioni, lacerazioni, odio e invidia sociale ed ha infangato l’interesse nazionale – il presupposto della sovranità – immaginando di cedere quote di “autonomia rafforzata” ad alcune regioni facendo venir meno il principio dell’unità nazionale.

Come se non bastasse, la vicenda Tav è la dimostrazione più palese (e drammatica) che il “bene comune” non ha alcuna rilevanza sempre per le suddette forze sovran/populiste, in particolare di quelle “grilline”, posto che se i governanti decidessero di tappare quel buco già scavato, andrebbero in fumo sette miliardi di euro degli italiani e ai detestati francesi dovremmo restituire la bellezza di cinquecentomila euro. Un affare che s’inquadra sempre in quell’interesse nazionale declinato alla loro maniera dai sovranisti all’amatriciana. Per di più la Svizzera (come descritto qualche giorno fa su Destra.it da Marco Valle) si sta già attrezzando a subentrare all’Italia e farebbe carte false per spostare la contestata tratta ferroviaria un po’ più a Nord, inserendosi nel corridoio Lisbona-Kiev, del quale solo una piccola parte (ma significativa) attraversa la Val di Susa, la cui prospettiva finale è l’arrivo a Pechino.

Più che il puntiglio “ideologico”, poté l’imbecillità dei demagoghi. Se i contestatori di una delle più importanti e gigantesche opere pubbliche transcontinentali, infatti, ragionassero davvero appoggiandosi alle categorie ideologiche, dovrebbero concludere che la diminuzione dei gas scaricati da migliaia di Tir al giorno favorirebbe soprattutto il miglioramento ambientale, anche questo, com’è facile capire, tassello di un “interesse comune” che inspiegabilmente non rientra nei canoni di certo sovranismo.

E così, dopo i molti compromessi accettati ed ingoiati, in omaggio al “contratto di governo” (ma possono nascere i governi su base contrattuale?), da ambo le parti, la compagine gialloverde è finita su un binario morto. Laddove, tuttavia, può ancora fare danni. Qualche manfrina per durare i “dioscuri” e i loro adepti cercheranno di inventarsela, sempre tradendo il popolo che li ha votati e fingendo di volerlo difendere, naturalmente. Magari guadagnando tempo con il furbesco rinvio degli appalti che legalmente non possono essere rinviati; oppure congelando il tutto in attesa di una pronuncia parlamentare illegittima in quanto nel 2003 il relativo Trattato internazionale venne ratificato da Camera e Senato che si espressero per la fattibilità dell’opera. Ma si sa, gli accordi sono carta straccia per i rivoluzionari da operetta adusi a fare più danni dei rivoluzionari di professione.

E così Salvini starà sulle spine semmai dovesse resistere e rompere con i Cinquestelle che gliela farebbero pagare assai cara votando al Senato per l’autorizzazione a procedere contro di lui; Di Maio si troverebbe a mal partito davanti alla sua già esigua ed esangue base elettorale per non aver portato a casa niente, neppure il blocco di quella simbolica Tav. Entrambi si vedrebbero costretti a rivedere i propri asset propagandistici, dall’autonomia regionale alla quota cento al reddito di cittadinanza. Un disastro, insomma. Un bene per il Paese. Che ha già “accettato”, forse senza ancora accorgersene, un aumento dell’imposizione fiscale notevole e rischia una patrimoniale devastante se questi irresponsabili non fanno le valige al più presto. Il presidente del Consiglio “delegato” alla concordia tra i suoi vice, potrà sempre consolarsi continuando a ritenere che il 2019 “sarà un anno bellissimo”…

Insomma, il “sovranismo” è il peggior nemico della sovranità. Finché lo si agita platonicamente fa sorridere; quando si pretende di costruirci su una politica, fa piangere. E fino a quando gli italiani che hanno votato questa gente che li ha presi per i fondelli (a proposito: come mai Salvini ha dimenticato strada facendo la flat tax, forse perché non piaceva a Di Maio?) la sovranità sarà ancor più fatta a pezzi, ma non a Bruxelles, a Francoforte o New York, bensì nelle macellerie politiche italiane dove lacerti di “bene comune” vengono svenduti da demagoghi per guadagnare poltrone e potere. Almeno così hanno immaginato il 4 marzo di un anno fa quelli che si battevano contro le élites non ritenendo che in breve tempo sarebbero stati recepiti come oligarchi piuttosto irresponsabili. Un anno dopo la musica è cambiata. Il popolo forse comincia a capire di chi diffidare.

Tags: economiaLuigi Di MaioMatteo Salvinisovranità nazionaleTAVtrasporti
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