L’effetto di coronavirus, di chiudere lo sbocco in Cina, può causare un bel po’ di perdite anche per le imprese italiane che esportano i loro prodotti e che in quello cinese hanno trovato una quota di mercato. Perché la progressiva ascesa del paese del dragone negli ultimi decenni – dal 1990 al 2018 il tasso medio di espansione economica si aggira intorno al 10% – è certificata dal peso anche degli scambi internazionali.

Scambi internazionale anche con l’Italia, infatti il made in Italy esercita un forte appeal sulla Cina, che rappresenta il nono mercato di destinazione del nostro export, pari a circa 13 miliardi di euro. Dai dati ISTAT si rileva non solo abbigliamento e beni di lusso (con un peso oltre il 15% del totale e un incremento +23% negli ultimi 2 anni) ma anche trasporti (8%), meccanica strumentale (35%) e prodotti chimici in costante crescita (+25% negli ultimi due anni).
Ma quali sono le regioni italiane che esportano di più in Cina? Lombardia con un peso di oltre 34%, Emilia Romagna 15% e Toscana 8%.
Fino a qualche settimana fa si parlava di previsioni allettanti per i produttori italiani nel settore della meccanica strumentale, in particolari per i produttori di macchine utensili per lavorazioni ad alta precisione, macchinari utilizzati nel settore ambientale come motori, riduttori e componenti per turbine eoliche, macchinari e attrezzature per l’edilizia, macchinari per la manutenzione delle tratte ferroviarie, etc…
In “Made in Cina 2025” si parla di opportunità commerciali in linea con la crescita economica ma anche con l’aumento della qualità della vita, che punta sempre di più a prodotti con contenuto altamente tecnologico e su attività a maggior valore aggiunto. Progetto ambizioso per la Cina ma ricco di occasioni per le imprese italiane anche in settori differenti come quello chimico-farmaceutico, food&bevarage.
Per il momento l’impatto sull’economia cinese deriva soprattutto dai blocchi nei trasporti e, quindi, nello spostamento delle persone e in parte delle merci. Il blocco coinvolge molte province, e tante aziende hanno deciso di chiudere per un periodo imprecisato tant’è che le stime aggregate dell’impatto provenienti in questi giorni dalle istituzioni e banche internazionali suggeriscono una perdita del Pil tra l’1% e il 3%, ma il permanere dei blocchi di trasporto e produzione potrebbe costare molto di più, alla Cina e al resto del mondo, non solo all’Italia: quasi tutti i titoli di borsa di società con alta esposizione sul gigante asiatico hanno perso molto punti percentuali in questi giorni, in particolare nel settore del lusso (dove la domanda cinese rappresenta circa un terzo del totale mondiale), del trasporto aereo, della logistica, e ciò presumibilmente trascinerà in basso tutti i listini.