La mobilitazione è scattata: le penne di regime sono state allertate per sostenere ed appoggiare le ragioni del sì al referendum confermativo sulla riforma costituzionale, approvata dalle due Camere a maggioranza assoluta.
Oltre alle posizioni contrarie esposte dalla sinistra autentica, miracolosamente è già sorto, anche ancora in sordina, un comitato del centrodestra con 10 punti programmatici.
Ripetitivi e superati dagli eventi sono i 3 iniziali, il 4° definisce gratuitamente la Costituzione, entrata i vigore il 1° gennaio 1948, un “miracolo costituente”, tale per il clima eccezionale del biennio 1946 – 1947, per la dittatura ciellenista e per la soffocante e determinante egemonia demo-social-comunista. La riforma costituzionale in discussione “divide anziché unire, lacera anziché cucire”, ma, signori del centrodestra (realisticamente esiste ancora?), è figlia, conseguenza ed epilogo prevedibile de “patto del Nazareno”, sul quale riflette il 5° punto, denunziando le incongruenze e la pericolosità per le istituzioni ma tacendo sulle incalcolabili responsabilità di Berlusconi.
Più felici e centrate sono le motivazioni create nei punti successivi, cioè sulla confusione, sulla genericità, sulla ambiguità del nuovo Senato, sulle competenze Stato – regioni – autonomie locali. Sono assolutamente infondate le ragioni a sostegno di un regionalismo antistatale mentre le controproposte potevano e dovevano essere articolate in forma meno generale e meno generica.
Se le espressioni critiche dell’opposizione risultano ancora largamente carenti, possibilmente da focalizzare e rinforzare nei prossimi mesi, superata la confusione delle amministrativa, ammesso sia possibile ritrovare una linea comune dopo le divaricazioni di questi mesi, dovrebbero essere sottolineati all’elettorato da raggiungere e da documentare, in modo efficace ma sobrio, anche i limiti delle formulazioni offerte da uno studioso del gotha costituzionale, Sabino Cassese.
Le motivazioni appaiono scolastiche, banali e qualunquistiche. Le spiegazioni si limitano alla critica del dualismo grazie alla possibilità concessa ai cittadini di decidere per il parlamento europeo. Vale a dire è inutile votare troppe volte e, tanto per ridere , l’eccessiva grascia può far male.
Non può essere considerata confusa e contraddittoria la distinzione dei compiti tra lo Stato e le regioni, enti favorite ed ora ricondotte ad un riequilibrio con il contentino del rocambolesco impossessamento del Senato, con un meccanismo assurdo ed incomprensibile con l’auspicio mostrino “l’intelligenza di portare più voci della società civile e dei corpi intermedi”. Dire che la spiegazione sia scolastica, da educazione civica primaria, è forse giudizio estremamente amichevole.
La chiusura sull'”assetto costituzionale che esce dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa fare un passo in avanti, consolidandola” lascia stupiti e principalmente increduli per la evidente virata verso il buio. Occorrerebbe precisare con quotidiana costanza che genericità, imprecisione, astrattezza e superficialità coprono altri proponimenti, altri obiettivi, proponimenti ed obiettivi tutt’altro che favorevoli al nostro sistema libero.
L’uomo della strada, il semplice cittadino, il sempre più raro elettore, rimangono basiti di fronte allo spettacolo in via di organizzazione, interrogandosi, senza impossibili risposte, sulle ragioni logiche del mantenimento marginale e finanche indefinito di questa istituzione creata con lo Statuto albertino del 1848 e mantenuto nello Stato unitario e sulla spiegazione di questo farsesco rilancio di questi enti burocratizzati all’esasperazione, parassitari, disprezzati perla loro inconcludenza dalle popolazioni sottoposte, fatti salvi alcuni casi eccezionali, nient’affatto virtuosi, affiancati dai rappresentanti di quelle assurde creature abnormi e spaventose, dette “città metropolitane”, meschine scopiazzature di Parigi e di Londra.