Fra tante “giornate mondiali” dedicate a sciocchezze, alcune hanno una loro serietà. Fra esse spicca quella del 26 giugno: giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di stupefacenti. Non soltanto in questo giorno, ma in tutto il corso dell’anno, risulta prezioso un libricino scritto a fine 2017 da un ragazzo romano, Daniele Saponaro, presidente dell’Anpit (associazione imprenditoriale per la contrattazione collettiva e per i servizi alle aziende), e pubblicato per i tipi di Historica: Gioventù drogata. Il pericolo di liberalizzare le droghe.

Saponaro si è sobbarcato una duplice impresa: quella di scrivere il pamphlet, e quella di portarlo in giro per l’Italia, supportando la causa del proibizionismo. Chi scrive ha assistito alla sua tappa genovese, proprio in occasione della giornata mondiale del 2018: presentati da Andrea Cacciavillani, con Saponaro intervennero Giorgio Schiappacasse (direttore del Sert di Genova) e Paolo Merello (direttore del Ceis di Genova). Fu un bell’evento, nonostante il tentativo d’un apologeta del diritto allo sballo di far degenerare la discussione (ebbe anche l’insperato appoggio d’una ascoltatrice assai buzzurra): ma il suo intervento ebbe un buon risultato – quello di mostrare che le argomentazioni degli antiproibizionisti sono cretinate. Ci sono argomenti sui quali non è lecito invocare la libertà d’opinione.
Uno di questi è la mafia; non è per esempio ammissibile discutere la grandezza delle figure di Falcone e Borsellino. Eppure, pochi giorni fa, alla RAI un “trapper” lo ha fatto. Un altro è la pedofilia: ma da decenni, psichiatri propongono di legittimarla – di recente, una dottoranda di Stoccarda ha detto a un incontro di TED (la sovvenzionatissima piattaforma con cui una élite plasma il pensiero unico) che va considerata un orientamento sessuale come ogni altro (ossia come uno fra le centinaia proposti dalle pasticciatissime teorie LGBT – cui qualcuno aggiunge, oltre alla Q di “queer”, la P).
Un altro ancora sarebbe la droga. Sarebbe, perché sfruttando il principio della finestra di Overton (il cui uso è spesso denunciato, più o meno appropriatamente, dai complottisti), è in atto una discussione sulla sua legittimità. E quando si comincia a discutere su qualcosa che prima era indiscutibile, ciò da discutibile diventa accettabile, poi legittimo e infine imposto.
Saponaro fa alcuni nomi – non tutti, per questioni di spazio, e perché l’argomento del suo testo non è tanto l’origine del problema, quanto la sua situazione attuale, e come evitarne l’ulteriore peggioramento – degli scatenatori di questa più che maligna sovversione: parte dagli esempi di Allen Ginsberg, pessimo poeta e propagandista della rivoluzione psichedelica, e dell’orrendo Timothy Leary, una delle figure più brutte mai esistite: bugiardo prezzolato per spacciare come “liberazione” l’uso della droga. Questi alfieri della beat generation, i cui danni (commessi appunto in nome della menzogna d’una “libertà” imposta da chi aveva, e ha, l’interesse a controllare i “liberati”) trovano ancora il loro continuatore in George Soros e nella Open Society.
Non si rimprovereranno mai abbastanza i complottisti che propalano le loro “denunce” su internet per aver buttato in caciara l’opposizione a Soros: purtroppo non si può ormai paventarne l’opera di devastazione, senza essere tacciati di complottismo internettiano: infatti spesso i sostenitori di +Europa (il quale prima di essere un partito politico, è l’emanazione parlamentare – nonostante le difficoltà con la soglia di sbarramento – delle istanze della Open Society) scherzano sul ritornello “è colpa di Soros”.
È invece un tema spaventosamente serio. Saponaro lo spiega e lo argomenta: la Open Society sbandiera, già dal proprio sito internet, la precisa intenzione di sovvertire gli ordinamenti della società civiltà occidentale; uno dei mezzi più efficaci per giungere a ciò, è far dilagare un nichilismo vuoto e svuotante (quello che trionfa fra il peggio della Generazione X, della Generazione Erasmus e dei Millennial), fatto di individualismo, culto dei diritti e spregio dei doveri.
Fra i “diritti” con cui questi pifferai di Hamelin avvincono a sé (“un anello per domarli, un anello per ghermirli…”) queste frotte di utili idioti sedicenti “open-minded”, senza patria né identita né storia né cultura ma con in compenso tantissimi capricci, c’è quello a drogarsi. Un ottimo strumento di controllo: il cittadino stupido è più facile da tenere a bada; se è tanto cretino da rivendicare il diritto (indotto) a rimbecillirsi, tanto meglio.
L’Autore insiste molto (e fa bene) sui danni che le droghe cosiddette “leggere” (e resta da smentire, con forza, la fallacia della distinzione droghe pesanti/leggere) infliggono al cervello: la riduzione delle capacità cognitive, di concentrazione, la cancellazione della memoria (particolarmente significativa, dato il preciso interesse a cancellare le identità). Danni gravissimi, permanenti e irreversibili.
Le nuove generazioni sono sottoposte a una drastica riduzione delle capacità intellettuali: le operazioni più semplici sono ulteriormente facilitate, rendendo inabili, e il persistente richiamo dello smartphone compromette la concentrazione (e riduce il tempo dedicato alla lettura); l’aridità e la pigrizia intellettuale del pensiero unico liberale fa il resto.
La diffusione della droga è un’accelerazione fortissima verso un mondo di zombie. Sono tutte bugie, quelle dei legalizzatori. Che la cannabis sia “una cura contro i tumori”, è una bugia. È un medicinale (e non è usato per terapie oncologiche, ma come analgesico) soltanto se sottoposto a una trattazione del tutto estranea al consumo “da sballo”; il quale è invece potentemente cancerogeno. È inoltre più che vergognoso, che i legalizzatori speculino sui tumori, per avere un argomento (falso) a sostegno della propria causa (malvagia).

L’equiparazione fra la cannabis e prodotti nocivi ma legali come sigarette e alcolici, pure. Chi scrive detesta le sigarette e consuma pochissimi alcolici, ma è chiaramente dimostrato che la cannabis va molto oltre i loro danni. L’Autore invece riporta la risposta del prof. Giorgio Calabrese, nutrizionista, a una frase particolarmente stupida di Paolo Ferrero, che la pronunciò da ministro della salute: Calabrese negò il luogo comune per cui una canna “fa meno male” di un bicchiere di vino. Saponaro scrive bene: del vino fa male l’abuso, non l’uso; della cannabis basta l’uso.
Riguardo poi l’argomento pecuniario: che farne controllare il traffico dallo stato significhi (è uno dei tormentoni di incompetenti in fatto di mafia che pure fanno soldi spacciandosi per tali, come il giustiziere pregiudicato di Manhattan) privare la criminalità organizzata di un guadagno, è una baggianata. I narcotrafficanti fanno, dove ci sia tolleranza, ancor più affari rispetto a dove ci sia proibizionismo; il mercato controllato dallo stato non sostituisce quello illegale, ci si affianca.Se l’argomento di cui sopra diventa poi speculazione, ossia: con la cannabis si guadagna; si spera di non dover spiegare perché faccia ribrezzo.
Purtroppo però, diventa invece sempre più necessario ribadire che è abominevole, guadagnare facendo del male al prossimo. Ribadimento sempre meno ascoltato. Si preferiscono le vili menzogne dei legalizzatori al non abbastanza celebre discorso di Paolo Borsellino: legalizzando si fa la volontà dei narcotrafficanti.Scrive Saponaro che non si devono criminalizzare, o emarginare in altro modo, i tossicodipendenti, le prime vittime della liberalizzazione della droga.
Secondo chi scrive, la società civile tutta deve invece rendere meno che marginale il discorso antiproibizionista. Che non si ripetano più infamie come quella accaduta in una trasmissione della RAI, pochi giorni prima della presentazione genovese di Gioventù drogata, quando Saviano, come suo solito prodigo di menzogne, in una trasmissione televisiva del servizio pubblico tenne un comizio a favore della legalizzazione delle droghe, supportando la sua tesi con argomenti immancabilmente errati.
Ne parlai con Saponaro, che rispose: meglio così, perché ogni volta che Saviano sostiene un’istanza, la rende impopolare. Lo spero.
Intanto, in California i legalizzatori come Saviano mettevano in atto una tragedia sociale di proporzioni terrificanti. Perché proprio in quel periodo, in quello stato americano le droghe cosiddette leggere diventavano legali, e gli effetti erano immediati: i narcotrafficanti profittavano della nuova tolleranza, sommergendo la California di droga, i tossicodipendenti aumentavano, le morti per overdose pure, gli incidenti stradali dovuti a guidatori sotto effetto di stupefacenti ancor di più. Anche in Uruguay la legalizzazione ha sortito conseguenze devastanti. Una situazione tragica che continua, ma questo i legalizzatori, i parassiti mafiosi che pretendono li si lasci guadagnare spacciando, non lo dicono.
Speriamo che sempre più voci si uniscano a quella di Saponaro, e che sempre più testimonianze seguano Gioventù drogata, perché l’urgenza di smentire e rifiutare la menzogna legalizzatrice è più che urgente: è tassativa.