Siparietti dall’informazione e dalla cultura di oggi, in Italia. Annuncio degli ultimi giorni del 2020: uno storico (che non citiamo, per non offrirgli visibilità) pubblica un libro con la gloriosissima e decaduta editrice Laterza: “E allora le foibe?” (dal tormentone di Vicky di Casa Pound, personaggio col quale Caterina Guzzanti ridicolizzava – giustamente – frasi fatte e automatismi pavloviani di tanta destra). Tesi dell’autore (un filo-titino nato a Torino nel 1973: vada a spiegare questa sua simpatia a chi è più prossimo – per natali, per generazione, per famiglia, per esperienza – allo scenario istriano…) è quella di molti suoi colleghi vicini all’ANPI: che le foibe siano un’invenzione della propaganda di destra.
La cultura ufficiale in Italia questo pensa, questo dice, questo diffonde e fa credere. La cultura ufficiale in Italia è anti-italiana, e agli italiani deve andare bene. Non passa giorno che alla redazione di Repubblica non ci si scandalizzi per l’ennesimo segnale di ritorno del fascismo. Nemmeno lo scorso 31 dicembre è stato esente dal solito allarme, con i soliti toni nevrastenici e la solita crassa disinformazione.
La sezione bresciana di Fratelli d’Italia augura su Facebook buon anno nuovo, accompagnando l’auspicio con l’”Inno a Roma”, composizione di Giacomo Puccini con testo di Renato Salvatori (adattamento del carme di Orazio: “O almo sole, tu non vedrai mai cosa maggior di Roma”). Inno che, un paio di decenni abbondanti dopo la composizione, ebbe la sventura d’essere adottato dal Movimento Sociale Italiano.
Si indigna Repubblica, fanno eco il Corriere e qualche testata bresciana: vari giornali seguono il quotidiano fondato da Scalfari nel denunciare che nella città della Leonessa, i fratellini tricolori intonino l’inno (definito, molto sbrigativamente, “fascista”) scelto per il MSI da… Mussolini, stando ai redattori scandalizzati.
Morto sul Lago di Como nell’aprile 1945, Mussolini si sarebbe – secondo loro – presentato a Roma nel dicembre 1946, per dare qualche consiglio ai fondatori del partito della fiamma. Particolarmente a cuore gli sarebbe stata la scelta dell’inno per il movimento.
Ai più dozzinali sembrano minuzie da secchioni, ma lo sfondone (l’ennesimo) degli allievi di Scalfari è grave. Non è questione di mettersi in cattedra a fare il barbagianni col ditino alzato: certe cose, per partecipare da adulti alla vita in comunità, vanno sapute. Diciamolo molto semplicemente, senza date: il MSI è stato un partito dell’Italia repubblicana, e Mussolini è morto prima che cominciasse la storia di quest’ultima. Non sono eruditismi da topo di biblioteca: è politica spiccia.
Repubblica fa come il difensore che passa la palla all’attaccante avversario davanti alla porta sguarnita, e sarebbe un attimo fare gol, dire: avete fatto una figuraccia. Poi arriva Gianpietro Maffoni, sindaco a Orzinuovi per Fratelli d’Italia: chiede scusa e prende le distanze. Non ci si mette contro l’egemonia, anche quando fa una figuretta.
Un paio d’anni fa parlai con una ragazza che all’epoca aveva già due lauree. Dissi che mi era stato chiesto di scrivere riguardo il Movimento Sociale Italiano: guardò su Wikipedia, vide: “partito politico italiano d’ispirazione neofascista” (ottimo per lei: parla sempre per brevi frasi mandate a memoria, ogni mese ne ripete una – quando già mezza internet era stracolma del paragone tra la trafficante d’esseri umani Carola Rackete e l’eroina del teatro greco Antigone, se ne saltò fuori con: “a me Carola ricorda Antigone”, brava!), ed espresse il suo sconcerto. Che bella la nuova classe dirigente, quante gioie ci riserva la Generazione Y, che portento i suoi laureati. Tutto il santo giorno a dar contro agli “analfabeti funzionali”, a chiedere la “abolizione del suffragio universale”. Poi non sanno orientarsi tra partiti politici che, quando loro andavano a scuola, ancora erano in parlamento.
Il TG3, edizione serale, nei titoli (con i quali già si sono tirate sviolinate a Obama che fa canestro e a Bergoglio che dice banalità) trova spazio per uno spettacolo di Roberto Bolle: e fin qui, chi se ne frega. Ma la baggianata non si fa attendere: ospite dello stambecco di Casale Monferrato è infatti Ghali, trapper noto non per le qualità artistiche (mai, mai, mai, ma proprio mai pervenute), ma in quanto simbolo d’integrazione: è un tunisino di Milano, o un milanese di genitori tunisini. Nulla di male, anzi tutto commovente: ma è piuttosto poco per tenere in piedi una carriera musicale (se poi il talento latita, tanto peggio). Ma l’operazione di propaganda tiene banco, e al ragazzo si dà spazio come se fosse un bravo artista. Al TG3 ci si sfrega le mani: che importa delle notizie serie, spazio a Ghali che ripete la manfrina dell’integrazione mentre il bel Bolle lo guarda con gli occhioni sgranati.
3 gennaio: l’ANSA celebra la gloriosa carriera di Giovanna Botteri, che nello scorso anno avrebbe raggiunto l’apogeo del suo fulgore. L’informazione che celebra se stessa, nella figura dei colleghi più scarsi. Lode alle menzogne, al cattivo giornalismo, alla mancanza di professionalità, all’impresentabilità: basta avere la tessera giusta.
Il 4 gennaio andrà finalmente in onda la puntata di “Report” sulla trattativa stato-mafia; come una pubblicità martellante ripete almeno da Natale, la trasmissione individua nei soliti “neofascisti” i responsabili del tutto. Davvero “del tutto”: non solo degli attentati mafiosi del 1992-’93, di qualsiasi nefandezza mai compiuta. Anche prima del 1977, del ’68, del ’45, del ’43, del ’33, del ’22, del ’19… i neofascisti sembrano Mussolini che secondo Repubblica fonda il MSI: con la macchina del tempo vanno qua e là a far danni.
Che bella cosa, il servizio pubblico che paga lo stipendio a Sigfrido Ranucci: birignao molesto, camicia non stirata e panzane, sempre le stesse. Tutto bene così, madama marchesa, diamo contro ai fascisti, scarichiamo su di loro quel che Satana si attribuisce in “Sympathy for the Devil” dei Rolling Stones, dal Golgota a Ottobre Rosso, e per tornare alla contemporaneità diamo loro la colpa del coronavirus.
L’egemonia culturale della sinistra è fortissima: e l’assenza totale d’una cultura di sinistra ne è la riprova. Un’egemonia così forte da vincere la partita senza nemmeno giocarla, senza schierare giocatori in campo.
Non fanno cultura né lo storico torinese filo-titino, né Repubblica che non distingue cosa sia successo prima del ’45 e cosa dopo il ’46, né la Botteri, né Ghali, né Report. Ma stanno sul carrozzone di chi, da oltre mezzo secolo, sta dalla parte vincente.
“I vinti devono tacere”, scrisse Saint-Exupéry: ma il suo era un elogio alla testimonianza che gli sconfitti lasciano con la loro opera, non un vile invito a rintanarsi nella cuccia. La destra italiana, per pigrizia, invece ci va, con la coda tra le zampe.
Sarebbe tanto facile da essere quasi scorretto, ribaltare il regime culturale. A sinistra non c’è più nulla, a parte Canfora che non ne azzecca mai una (un professore universitario che dice in tv “il razzismo è il principio fondante del fascismo”…), la Murgia che dà in escandescenze ogni volta che le capita a tiro qualcosa anche solo vagamente di destra, i trapper morti di sonno, i siparietti “antifa” della influencer Chiara Ferragni, le caricature di giornalismo alla Tommasi e Tosa… una volta era difficile dar contro alla sinistra colta, ci si trovavano di fronte: professori che erano diventati tali quando per laurearsi si doveva studiare tanto, giornalisti che avevano fatto una gran gavetta (e avevano studiato tanto), registi e cantautori che sapevano raccontare ciò per cui militavano (e avevano studiato tanto)… c’era una intellighentsia, non queste caricature. Con i cantanti si è finiti da Guccini a Fedez, con i fumettisti da Crepax a Zerocalcare, con i giornalisti da Pasolini a Raimo, con gli scrittori da Eco a Gramellini…
Basterebbe poco, a una destra italiana seria, per mettere questa gente nel sacco. Invece no: Salvini si fa i selfie con la Nutella, i Fratelli d’Italia fanno flash-mob (invisibili ed estemporanei) in continuazione, e nulla più; e alle critiche rispondono di aver “agito”. E quando Repubblica alza la voce, si chiede scusa. Poi anche a destra si alza la voce: ma non per rispondere alle gaffe demenziali della sinistra più impreparata e arrogante; piuttosto, per fare quadrato (a proposito della Vicky di Caterina Guzzanti) attorno al pessimo governatore Fontana (che spettacolo squallido, i ragazzini che fanno i lacché); o ci si scatena contro quelle parti del movimento giovanile che non obbediscano pedissequamente al partito (che spettacolo triste, i ragazzini che strillano contro quelli fra loro che si riservano il diritto d’un po’ di ribellismo giovanile).
Divertitevi pure, gonfiatevi il petto con i sondaggi. 10, 12, 16, 20%… ma ricordate la favola del bue e della rana.