Leggevo le riflessioni d’un militante dell’antipsichiatria: il “lockdown”, sosteneva, ha esteso il Trattamento Sanitario Obbligatorio a tutta la popolazione. Pur con la cautela da riservare a un parere di parte, è difficile negarlo: le misure restrittive in atto stanno facendo vivere a tutti una condizione molto simile a quella dei pazienti psichiatrici sottoposti a TSO: limitazione totale dei movimenti, sorveglianza, impossibilità decisionale; e tutto con motivazioni mediche. Al di là dei parallelismi, la questione dell’emergenza da COVID-19 pone, fra i tantissimi allarmi (essendo pressoché sicuro, sin dall’inizio della faccenda, che le sue conseguenze socio-economiche saranno assai più gravi della pandemia stessa), quello delle ripercussioni psichiatriche.
A metà maggio, dopo un paio abbondante di mesi di “lockdown”, se ne è accorta persino l’intoccabile Organizzazione Mondiale della Sanità: tra i danni collaterali della pandemia, è a rischio la salute mentale. In netto ritardo: limitandosi all’esempio italiano, un’impennata dei TSO si era avuta sin dal principio della Fase 1. Quando la pandemia sarà un ricordo, tra le macerie che lascerà ci sarà un forte aumento del disagio sociale, così come di quello mentale. Mesi d’isolamento coatto, di frustrazione per restrizioni che sembrano non finire mai, e infine l’impoverimento di molti italiani stanno già procurando questo triste risultato.
La pandemia ha evidenziato la poca credibilità dell’OMS, la quale a parte aiutare le autorità cinesi a tenere oscurato l’inizio dell’emergenza per poi fare allarmismo con quelle occidentali (nel giorno in cui si scrive questo articolo, siti come Meteo.it dediti al “click-baiting” – il ricorso a titoli sensazionalistici, magari scritti in maiuscolo, per attirare visualizzazioni – fanno rimbalzare, con entusiasmo, l’ennesimo proclama dell’OMS: sarebbe inevitabile una seconda ondata), non ha fatto molto; per poi scegliersi un portavoce italiano, Gualtiero Ricciardi, e ritrovarsi a sconfessarlo a ogni sua, imbarazzante, uscita. Non è la prima occasione in cui l’OMS alterna allarmismo e confusione: l’epidemia di Sars tra il 2002 e il 2003 suscitò un allarme immediato, ma avveratosi soltanto diciassette anni dopo, con un’evoluzione dello stesso virus: passata l’urgenza della notizia, si lasciò cadere tutto.
Sbagliare è umano, farlo apposta è diabolico. E l’OMS ha fatto ciò, di proposito, proprio nel trattamento delle malattie della mente. Riguardo le psicopatologie, l’OMS è come un ortopedico che rompa il braccio al paziente, glielo ingessi, e pretenda di essere elogiato per averglielo messo a posto.
La summa della devastazione che la scienza psichiatrica ha portato nel mondo occidentale è il DSM: il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” (in Italia edito da Cortina come “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”), distribuito dal 1952 con un numero romano che ne indichi l’aggiornamento (quello corrente è il quinto, risalente al 2013). La prima edizione era la risposta, da parte dell’American Psychiatric Association (che tuttora detiene l’iniziativa), all’esigenza dell’OMS d’utilizzare uno strumento per la classificazione universale dei disturbi mentali.
Non per nulla, il DSM è detto “la Bibbia della psichiatria”, ed è riferimento obbligatorio e imprescindibile per lo studio e l’insegnamento dei corsi di scienze psichiatriche e per l’abilitazione di psicologi e psicoterapeuti. Il succitato DSM-V è la pietra dello scandalo, perché ha esteso, di parecchio, il raggio entro il quale un disturbo possa essere definito malattia mentale. Se fu lodevole, nel 1973, espungere l’omosessualità dal novero dei disturbi psichici, è dannoso ammettere nel “paniere” bizzarrie, tic, piccole stranezze.
Tante le critiche, fra tutte quella più ovvia (e non solo da parte di complottisti, no-vax e via dicendo): il DSM-V è palesemente una marchetta in favore dei colossi farmaceutici. Perché l’esagerazione per la quale si tratta chi ha paura di calpestare le fessure sul pavimento come chi parla coi fantasmi, porta a somministrare psicofarmaci a un pubblico assai ampio. E gli psicofarmaci, anche quelli spacciati come “leggeri”, hanno effetti collaterali devastanti (e benefici nulli, per lo schizofrenico come per lo stravagante).
Tale politica farmacologica ha portato soprattutto allo sdoganamento degli antidepressivi (appena meno nocivi degli antipsicotici). Sintomo di ciò è l’uso che del termine “depressione” si fa nel linguaggio comune. La depressione è una malattia che sta senz’altro vedendo un incremento (costante, ma lento), ma resta meno diffusa di quel che si pensa. Eppure, sembra che quasi tutti gli occidentali siano “depressi”: chi è stressato, chi è stanco, chi è confuso, chi è triste.
Qualche psicologo disonesto reclamizza il fatto che sia il disturbo mentale più diffuso, ma è un modo scorretto di porre il problema: non è eclatante che lo sia più della schizofrenia. Anzi, sarebbe sconvolgente il contrario. E ancor peggio, moltissimi terapeuti (persino qualche medico di famiglia) diagnosticano disturbi depressivi ai tantissimi pazienti che lamentano una condizione di tristezza e/o stress, mandandoli dagli psichiatri che con entusiasmo prescrivono loro degli antidepressivi.
Questo sta portando, da anni, a effetti nocivi dalla portata ben più ampia della compromissione della salute di qualche sventurato che si ritrova con fegato, occhi, sistema nervoso e metabolismo distrutti dagli antidepressivi SSRI (di cui si millanta che siano meno dannosi dei farmaci triciclici, la cui nocività è finalmente riconosciuta dalla comunità medica) e, per essere crudelmente pragmatici, dell’enorme peso sulla previdenza pubblica (sono farmaci costosissimi, ma li passa la mutua).
Ancor più perniciosa è la questione culturale, conseguente alla creazione a bella posta del falso mito della depressione dilagante: una “cultura analgesica”, una società che considera ogni disturbo, ogni fastidio, ogni malessere delle malattie; e che considera i farmaci come il rimedio a tutto.
La “cultura dello sballo” è sì anteriore al DSM-V; ma la disinvoltura che, tramite esso, è stata applicata riguardo l’uso di tutto ciò che sia antidolorifico (dall’antidepressivo al farmaco analgesico) ha sia contribuito allo sdoganamento dell’utilizzo di droghe, che provocato l’autentico massacro in corso negli Stati Uniti: sono molte decine di migliaia le vittime delle prescrizioni indiscriminate di analgesici negli USA, sia coloro i quali sono caduti nella dipendenza dai farmaci, che coloro i quali sono addirittura stati uccisi dall’abuso di sostanze chimiche.
Andando più in profondità: psichiatri e psicologi, da anni, hanno rinnegato l’etimologia della loro specializzazione (“psicologia”, dalle parole greche “psyché” e “logos”: discorso sulla psiche, quindi sullo spirito, sull’anima – non, come molti credono, sulla mente), riducendola a branca della neurologia (senza nulla togliere a essa). L’approccio esclusivamente fisiologico ai problemi della mente fa parte di una più ampia svalutazione dell’anima e di tutto ciò che la riguardi: il pensiero unico esclude qualsiasi discorso spirituale, bollato come irrazionalità (manco ci fosse qualcosa di male), segno d’arretratezza (idem) e tacciato d’inferiorità culturale (con un clamoroso capovolgimento della realtà dei fatti).
Ma trattare il pensiero umano come fatto meramente organico è chiaramente, con buona pace dei meccanicisti cartesiani e di altri inquinatori della storia del pensiero occidentale, una perniciosa baggianata; e curare il cervello come gli altri organi, pure. La mente non si riduce al sistema nervoso centrale; intervenire su di essa a livello organico, è senz’altro il miglior rimedio per i disturbi neurologici, ma quelli psichici hanno ben altra sede.
L’eccessiva fiducia nella terapia farmacologica ha quindi due cause: la ricerca di profitti per le case farmaceutiche; un enorme errore filosofico. Psichiatri e psicologi, da anni, osservano il culto della serotonina, la cosiddetta “molecola della felicità”: il principio attivo di molti antidepressivi, l’ormone di cui i depressi sarebbero carenti: la cura più efficace sarebbe somministraglielo con gli antidepressivi. Ma non solo è superficiale e terribilmente fallace, pensare che un disturbo del pensiero, così profondo e pervasivo, sia risolvibile per sola via organica; la compensazione della serotonina è un falso scientifico, acclarato eppure ancora ammesso. Lo psichiatra americano Peter Roger Breggin ha dimostrato che la somministrazione di serotonina non ne compensa la carenza, ma porta a uno sbilanciamento nei livelli delle sostanze presenti nel cervello.
Breggin è uno dei critici più autorevoli e accreditati della “biopsichiatria” (la corrente dominante della psichiatria, quella appunto che riduce il trattamento del paziente alla somministrazione di farmaci), rimarcando che tutti i farmaci in commercio distruggono la salute del paziente, ed evidenziando bugie ed errori di metodo della American Psychiatric Association – l’ente che, come si è detto, pubblica il manuale che è il principale e obbligatorio punto di riferimento per l’esercizio delle professioni psichiatriche e psicologiche.
Non soltanto i seguaci di Thomas Szasz (uno dei fautori dell’antipsichiatria che più hanno nuociuto alla causa stessa) paventano le conseguenze del riversamento sul mercato di farmaci: un’autorità quale Thomas Insel, direttore del National Institute of Mental Health, ha definito il DSM-V completamente privo di validità; e uno degli psichiatri più anziani e venerati d’Italia, Eugenio Borgna, ha ribadito la denuncia del DSM-V quale strumento volto alla reclamizzazione degli psicofarmaci e all’ampliamento ingiustificato, acritico e antiscientifico, dei sintomi di patologie psichiche.
Un meccanismo che non pare arrestarsi. Né le critiche di professori affermatissimi, né l’accertamento del fatto che almeno due terzi dei 170 redattori del manuale hanno precisi e documentati rapporti economici con le case farmaceutiche, possono arrestare l’utilizzo del DSM edizione 2013 come testo di riferimento universale per la psicoterapia e la psichiatria nel mondo.
L’OMS non ne scongiura l’utilizzo, anzi ribadisce che psicologi e psichiatri devono avere in esso la fede che un sacerdote deve avere per il testo sacro della sua religione. Purtroppo, coloro che si accomodano su questa scelta, facile e remunerativa, sono i più; e a nulla giova che i detrattori siano i più preparati e autorevoli fra i medici della mente. Non accontentandosi della fobia che la pandemia, inevitabilmente, sta suscitando, né delle ricadute psicologiche che i suoi strascichi avranno, l’OMS ritiene di dover fare terrorismo. Il comunicato del 14 maggio è stato accompagnato da una nota della filiale italiana: almeno un milione sarebbero gli italiani che non si adatteranno a uscire dalla Fase 2.
La comunità psichiatrica che riversa psicofarmaci sia sui pazienti effettivi che sui potenziali tali sembra, si diceva sopra, un ortopedico che rompe un arto a un paziente, glielo ingessa e pretende di essere ringraziato. Quando l’OMS annuncia che chi avrà paura di ricominciare una vita fuori dal “lockdown” non andrà aiutato a ripartire, ma a restarsene nel guscio consolandosi con un ausilio farmacologico, glielo rompe, non glielo ingessa e si aspetta ringraziamenti.
Non è questione di fare complottismi, tanto meno pastrocchi no-vax. La medicina ufficiale è e resta la sola valida, con buona pace di chi si cura cercando sintomi e rimedi su internet, o di chi in una puntura vede solo l’installazione d’un microchip. Se è ovvio che la medicina alternativa sia spesso una collezione di paccottiglia, è anche chiaro che il discernimento con cui non si riconosce la validità a ritrovati dilettanteschi va applicata alle presunzioni di verità degli accademici.
Le interpretazioni della pandemia date dai virologi sono state chiare al riguardo: e la classifica della rivista “Scopus” è eloquente riguardo alle conferme di valore e disvalore, dalle effettive eccellenze dei professori Mantovani e Remuzzi ai proclami senza sostanza di Burioni. Come le pretese da parte di quest’ultimo di detenere la verità assoluta su qualsiasi argomento sono state annientate dallo stato delle cose, anche la laicissima sacralità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sta crollando sotto il peso dei fatti: dalla connivenza col regime cinese per coprirne i pasticci, alla mancanza di serietà dei suoi rappresentanti (o presunti tali) in Italia, fino al disastro, preparato e annunciato, dell’igiene mentale durante e dopo la pandemia.
Stiamo assistendo a tante manifestazioni di mania del controllo: dal commissario per l’emergenza che stabilisce da solo i prezzi delle mascherine e impone un’applicazione per smartphone che controlli i minimi spostamenti dei cittadini, al sindaco di Milano che vedendo qualche cittadino passeggiare sui Navigli insulta e minaccia di rinchiudere tutti e al governatore della Campania che auspica l’utilizzo di lanciafiamme contro chi non rispetti le restrizioni, fino a “specialisti” spesso sedicenti ed “esperti” prima scelti poi smentiti dall’OMS che stanno trascorrendo tutta la Fase 2 con malcelata nostalgia della Fase 1, delle sue maggiori restrizioni e quindi del loro maggior potere, e non cessano di paventare il ritorno a essa, qualora i cittadini non si sottopongano ai loro dettami.
Che ritengono più importanti del benessere socio-economico della nazione, e della salute mentale dei cittadini.