A credere nelle frasi fatte e nei decaloghi su come raggiungere il successo e un obiettivo, non sono rimasti in molti. Il viso rubicondo di Ennio Doris, il banchiere di successo vicino alle famiglie e a quella certezza che ruotava attorno a loro negli anni del boom economico, -la casa e con lei anche Il credito-, ha mantenuto nel tempo lo stesso sorriso sornione. Si.vede un po di meno in televisione ma, quando appare è un tripudio di professionalità, familiarità e buon senso; rivolto all’umanità e soprattutto, dopo l’ordine di rientro a Terra dell’Agenzia Spaziale Europea, della gestione del risparmio. Insomma, una sorta di Love in Portofino di Fred Buscaglione accessibile a tutti. Purché l’amata vesta i panni irreprensibili di un family Banker.
Miro Renzaglia, autore, performer e saggista che a tempo “perso” cura e dirige il magazine on line Il Fondo, non bada troppo alle facili suggestioni del porticciolo piú bello d’Italia e alla sua rivisitazione da «TV Marketing». Il suo ultimo saggio di appena 97 pagine, Un popolo di debitori edito da Safarà Editore, con tanto di prefazione a cura di Ivan Buttignon -insegnante di Comunicazione politica e Storia contemporanea all’Università degli Studi di Trieste- , può sembrare un riassunto semplicistico delle traversie economiche e finanziarie di inizio secolo. Una sorta di esposizione cronologica dettagliata, della lunga ascesa degli oligopoli finanziari ed economici che hanno avvallato ogni deregolamentazione dei mercati. Riuscendo nell’intento di sostituire le politiche degli stati con la finanziarizzazione e l’economicità ad alto tasso di interesse.
Guardando la copertina che evidenzia alcuni dei temi analizzati nel libro, quali sono l’austerity, l’inflazione, la problematica del rating, degli interessi applicati dalle banche sul debito, il lavoro di Renzaglia, potrebbe assume d’un tratto tutte le incertezze che hanno costellato il culmine di questo tipo di saggistica. Tante, per non essere contemplate nell’insieme della tendenza letteraria del momento e poche, visto che il leitmotiv della stesura è affiancato come un’ombra, dalla grandezza dei Cantos poundiani. Certo, neppure al poeta sarebbero bastate tre edizioni per approfondire i due capitoli che sfiorano appena il Capitalismo moderno – Capitalismo & Capitalismi e La crisi del capitalismo non è un vizio di famiglia- per non cadere in facili valutazioni.
Del resto, una su tutte, è la certezza che il Capitalismo produttivo e votato alla crescita degli anni 2000, possa essere comparato alle intuizioni felici di Olivetti e del “capitalismo sociale”. Un errore che non include una premessa fondamentale che mette a nudo le sue tre evoluzioni storiche e che, anche se trasformatosi enormemente dal 1780 a oggi, non si sia mai dimenticato di portarsi dietro i suoi tre principi fondamentali. Il profitto, la produttività e la crescita. Quest’ultima, illimitata ed estesa al mercato, dell’irrealtà finanziaria e orientata all’espansione degli spazi, mette in evidenza che siamo davanti ad una fenomenologia che non può essere riassumibile e tanto meno alla mercee, di qualsiasi forma retroattiva di capitalismo produttivo. Perché come abbiamo visto è proprio nella produttività dove si forgia nuovamente una delle turbine che permettono all’ingranaggio un’andatura da fuori serie.
Tutto sommato Il libro di Renzaglia ha dei buoni spunti e un’ottima leggibilità che può stimolare l’interessamento, anche a chi non è esperto di finanza ed economia, alle vicissitudini negative che hanno investito l’Italia e gli stati occidentali. Per tutti quelli che si aspettavano un qualcosa di piú il discorso è diverso. Consigliamo di munirvi di un vocabolario che traduca le parole del lessico liberal-tecnicista, masticandovi un chewingum. In attesa che prima o poi vi passi. Prima o poi.
Miro Renzaglia
Un popolo di debitori
Safarà editore, Pordenone 2014
Ppgg.100, euro 10.00
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