Quando sono andato ad Hammamet, era morto da pochissimi giorni Giampaolo Pansa. Alla partenza, si era a Malpensa, intrappolati nel ritardo di Tunisair per preparare il volo (al ritorno avrebbero fatto di peggio). Alcuni signori, anziani militanti socialisti, ricordavano il giornalista scomparso: uno di loro ne parlava come del commentatore più corretto (una delle cose più divertenti del memoriale fu il continuo destinare ben altri apprezzamenti nei confronti di Eugenio Scalfari) nei confronti del leader, anche nelle critiche; aveva solo una riserva – era stata piuttosto maligna l’attenzione riservata dal cronista piemontese alla camicia che il Bettino nazionale infradiciò di sudore al congresso del PSI a Bari, alla fine di giugno del 1991 (non si può comunque pretendere che nella Puglia di quei giorni si abbia un aspetto fresco). Nell’immaginario collettivo, un episodio adombrato soltanto dal lancio di monetine fuori dall’Hotel Raphael e dal monitor piramidale di Filippo Panseca all’ex fabbrica Ansaldo.
L’elegante signore, un gran gentiluomo che per tutto il viaggio ha spiccato nel gruppo, chiosava: le critiche vanno bene, le cattiverie sul piano fisico no.
Concordo con lui. Resta un dato di fatto: nella cronaca politica, quello che adesso (col vizio di usare termini inglesi per nascondere la scarsa padronanza della propria madrelingua) i più chiamano “bodyshaming” (detto anche “bodisceming”) va molto in voga.
Si pensi alla “crapa pelada” di Benito Mussolini; poi, ad Amintore Fanfani, esposto al pubblico ludibrio dalla foto che svelava la scatola sulla quale saliva per compensare la scarsa statura fisica (e l’impossibilità di salire al Quirinale gli fu paventata col mottetto “non sarai eletto / nano maledetto”); alla gobba di Giulio Andreotti (esasperata nell’imitazione di Oreste Lionello); all’obesità di Giovanni Spadolini (poco dileggiato, essendo “misteriosamente” intoccabile…), al fisico minimo e alle fattezze topesche di Giuliano Amato (“il dottor Sottile”), allo strabismo di Maurizio Gasparri, alla magrezza spettrale di Piero Fassino, al nanismo di Renato Brunetta, al volto paffuto di Romano Prodi che insieme alle origini bolognesi gli è valso il soprannome di “Mortadella” (nomignolo celebrato dalla terribile sceneggiata di Strano, Gramazio e Barbato, che ne festeggiarono la sfiducia in Senato con insaccato, spumante, urla e sputi).
La memoria di grandi personaggi storici resta accompagnata da dettagli simili, dal naso di Cleopatra alla bassezza di Napoleone.
Il politico che più ha attirato ironie di questo tenore è senz’altro Silvio Berlusconi: sia per l’acredine con cui si è insistito su due suoi evidenti difetti fisici (la bassa statura e la calvizie), sia per l’ironia suscitata dai suoi tentativi di rimediare (le scarpe coi rialzi, i trapianti di capelli) e dalle sue cadute di stile (i lifting con effetto deturpante, la bandana per accogliere i coniugi Blair, le costosissime cravatte annodate male). Anche la particolare dizione, molto nasale, del Silvio nazionale è stata spesso oggetto d’ironia.
Il “bodyshaming” in Italia insomma, è sempre stato bipartisan. E alla sinistra italiana, anche quella più salottiera e “chic”, non ha mai fatto ribrezzo. Quando Daniele Luttazzi, sostenendo di ispirarsi al “Decameron” di Giovanni Boccaccio (che, da lassù, non ringrazia), immagina Giuliano Ferrara immerso negli escrementi, attorniato da Berlusconi, Dell’Utri e Previti frustati da Daniela Santanché, nessuno trovò nulla di male nei soliti riferimenti all’obesità dell’Elefantino; anzi, quando nel 2007 La7 lo licenzia, come sei anni prima la RAI, qualcuno urla, come la volta precedente, al liberticidio. E ancora, quando Beppe Grillo prepara, con i “Vaffa Day”, l’ingresso in politica di quello che diventerà il Movimento Cinque Stelle, nessuno si scandalizza per lo “psiconano” con “l’asfalto drenante in testa”. Anzi, quella sinistra fighetta che ora ci si è alleata, ma in tempi ancora recenti lo guardava con sdegno, si diverte parecchio con gli insulti grillini a Berlusconi; anzi, “psiconano” sarà ripetuto con entusiasmo.
Chi scrive non è mai stato un simpatizzante di Berlusconi, però ne comprende le fisime sul piano fisico, anzi le condivide: essendo accomunati (oltre che dai natali milanesi, dalla residenza brianzola e dalla voce sgraziata) dal terrore per la caduta dei capelli e da quello per il tempo che passa (riguardo l’altezza, allo scrivente è andata meglio). Sembreranno sciocchezze, ma ci si soffre.
Debolezze umane, diffusissime e (si spera) scusabili. Persino Giulio Cesare non accettava il fatto d’essere spelacchiato…
Il politicamente corretto si scaglia contro il “bodyshaming”. Con risultati grotteschi: il “pensiero body positive”, ossia l’accettazione della propria fisicità, è partito da premesse condivisibili (appunto, vivere in armonia col proprio aspetto, accettando i propri difetti) a risultati devastanti: un conto è dire che gli obesi non vanno derisi, ben altra faccenda è convincersi che l’obesità sia una bella cosa. Una delle derive psichiatriche del pensiero unico: è bello essere brutti, è bello anche essere obesi, e se lo si è non ci si deve curare. Un delirio che fa vittime.
Il pensiero unico non accetta il “bodyshaming”, quando non fa comodo.
Una influencer americana proclama su Facebook che non accetta la corte di ragazzi che non siano altissimi. Reazioni femminili molto divertite. Un collega le fa notare che tonda com’è, deve pensarci un attimo, prima d’essere così selettiva. Lei accusa lui d’averle appena rovinato la vita. Lui riceve qualche migliaio d’insulti e minacce solo nella prima ora successiva al confronto.
Succede poi che “Striscia la Notizia” (una trasmissione televisiva che, in oltre trent’anni di attività, a questa pratica ha fatto un ricorso spropositato, contribuendo largamente a diffonderla tra l’opinione pubblica italiana) dedichi un servizio cattivello a Giovanna Botteri, l’ex inviata RAI negli USA, da qualche mese in servizio dalla Cina.
Non le si dice che sia brutta, né si sottolineano sue pecche somatiche. La si critica perché è impresentabile. E spiace dirlo, ma così è. Occhi sempre pesti di sonno, capelli sempre scarmigliati e spesso sporchi, sempre addosso i soliti due o tre maglioncini disfatti.
Non si deride la Botteri per il suo aspetto, che non sarebbe affatto sgradevole (a differenza dei toni isterici, del linguaggio approssimativo e della totale mancanza di serietà e correttezza nel fare informazione). Si critica la presentabilità: perché l’abito il monaco lo fa, eccome. Tanto più se si ha un compito di rappresentanza (e quello del mezzobusto lo è), e si è un dipendente pubblico.
Quando si collega dall’estero, Giovanna Botteri si rivolge al pubblico che le paga lo stipendio: perciò ha il dovere di rendersi presentabile. Non è questione di superficialità, di guardare la forma e non la sostanza (e sulla sostanza della Botteri giornalista, le critiche possono essere come minimo feroci). Quando si hanno mansioni come quella del “mezzobusto”, la forma è anche sostanza. Un giornalista televisivo, specialmente se lavora per un’emittente pubblico, ha il dovere di curare l’immagine che presenta al pubblico; quando Giovanna Botteri si mostra sciatta in collegamento, dimostra che del pubblico non gliene importa nulla (e ancor più lo dimostra propinando notizie false, riflessioni aprioristiche, sentenze disoneste).
Quando Obama raggiunse Chris Christie, governatore del New Jersey, durante l’allerta per la tempesta Sandy, mi colpì un commento della Botteri: riuscì a mettere a confronto le due figure affiancate, “il magro presidente nero e il grasso governatore bianco”. Un pensiero razzista, stereotipato, vagamente classista. Soprattutto, in tal caso la Botteri fece “bodyshaming”. Nessuno se ne accorse, tantomeno protestò.
Se si critica la Botteri per il suo totale disinteresse a rendersi presentabile per svolgere (male) la mansione per la quale riceve un (immeritato) lauto stipendio pubblico, si levano gli scudi in sua difesa. E chi la critica è maschilista, misogino, superficiale e via dicendo.
Si può dire di Ferrara e di Adinolfi che sono obesi, della Murgia no. Quelli che ridono per le battute su Brunetta nano si indignano assieme a Saverio Raimondo, quando questo (pessimo, al confronto un qualsiasi Luttazzi può sembrare Walter Chiari) comico “twitta” offeso perché qualcuno cerca su internet il dato della sua statura. Si può trovare risibile il ciuffo arancione di Trump, non la zazzera bisunta della Botteri.
Anziché offendersi, la Botteri dovrebbe ringraziare. Le va ancora bene, che la si critica per la maleducazione con cui si presenta in videocollegamento. Le va di lusso, che si disapprovino la sua sciatteria, l’ineleganza che sfocia nell’inciviltà, la mancanza di rispetto nei confronti degli utenti. Pensi sempre che sarebbe peggio, se la si considerasse come giornalista. Perché non è solo una vergogna, che la RAI elargisca uno stipendio pubblico a una professionista che si presenta male sul lavoro. È ancora peggio che si faccia fare informazione pubblica a chi ha detto, e continua a dire, bugie in favore di Obama e della Clinton, calunnie livorose contro Trump, baggianate sulla Siria, stupidaggini sulla Cina.
pro veritate: nella battuta di luttazzi su ferrara non si fa nessuno dei “soliti riferimenti all’obesità dell’Elefantino”. perchè dite una bugia per dimostrare il punto?
Nessuna bugia, mi spiace contraddirla.
Mi permetto inoltre di notare che lei, che nel commento di cui sopra si qualifica come “livio barna”, è lo stesso utente che, firmandosi “fredo leoni”, quattro minuti prima accusava (con un commento più che legittimamente cestinato) la Ns. redazione di essere “ridicoli” (in calce all’ottimo articolo “Italiani seri/ il fascismo aristocratico e ribelle di Barna Occhini”, per di più scritto dal dott. Bozzi Sentieri, una delle migliori penne di destra in circolazione).
Invece di insultare (“ridicolo” qua, “bugiardo” là), e di asserire che parla “pro veritate”, abbia il coraggio di firmarsi col suo nome autentico. Altrimenti non ha i titoli né per squalificare la serietà altrui, né per dare lezioni di “veridicità”. Rispetti il lavoro e l’onestà altrui, si trovi passatempi più degni delle persecuzioni anonime, e se proprio deve fare il “giustiziere”, sia più serio e onesto.
Sorvolando sul fatto che non ha nemmeno provato a smentire il “punto” da lei contestato. Perché no, fare la filologia delle battute di Luttazzi non basta.