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Il racconto/ Adozioni

di Eugenio Pasquinucci
25 Novembre 2013
in Home
1
Il racconto/ Adozioni
       

Tania era confusa, appena appresa la confidenza.

“Verranno da lontano due genitori tutti per te !”, le era stato detto. Cercava di immaginarsi le loro voci, le avevano  detto che non erano biondi come lei, chissà cosa voleva dire. Si sentiva curiosa, impaurita, le sarebbe piaciuto anche poter essere felice.

Pensava che avrebbe dovuto imparare ad orientarsi in nuovi spazi, ora sapeva quanti passi occorrevano per raggiungere la sala mensa, quanti altri per tornare al proprio letto nella lunga camerata.  Le avevano detto che in Europa le case sono piccole ,tutto è più piccolo che in Siberia, ma ognuno ha una sua stanza.

Avrebbe avuto giochi nuovi, magari parlanti, amici nuovi ma di un’altra lingua.

Avrebbe mangiato cibi sopraffini, e non patate, patate e ancora patate.

Avrebbe avuto una mamma ed un papà come la sua amica Fedora, che ora è partita e non le ha più scritto.

O forse sì ma nessuno si era  preso la briga di leggerle alcunché.

Giorgio ed Enrica avevano lasciato la stazione in taxi, l’unico esistente, e viaggiavano lungo una strada in mezzo ad una distesa brulla che non sapevano se chiamare  steppa, se erano in Siberia non poteva che essere così.

Avevano preso questa decisione dopo l’ennesima delusione in Italia. Un mese prima il magistrato li aveva convocati, appena entrati ,neanche il tempo di sedersi, aveva esordito dicendo che il loro medico era un deficiente.

“Non si scrivono così i certificati ! Occorre contestualizzarli al problema!”

A loro sembrava che fosse tutto regolare, che ci fosse scritto ciò che occorreva, e poi il loro medico era bravo, aveva salvato la mamma di Enrica l’anno prima.

Sulla scrivania alla sua sinistra, giacevano alcuni faldoni, impilati uno sull’altro.

“Queste sono le relazioni che ho richiesto agli assistenti sociali ma non voglio leggerle per non farmi influenzare”  continuò il giudice.

“Ma allora, brutto scemo , cosa li hai richiesti a fare, cosa ci hai fatto perdere tutti quei giorni!” pensò con rabbia Enrica.

Forse fu la rabbia repressa sul volto di Enrica, o la resa incondizionata nello sguardo basso di Giorgio, ma con l’arroganza del represso, il giudice li congedò dopo pochi minuti ed il verdetto era già scritto nella sua indifferenza.

Possibile che in Italia per adottare un bambino devi essere straricco, raccomandato  e forse gay, altrimenti se rappresenti una coppia normale, con tutti i tuoi limiti di uomo e di donna devi lasciar perdere?

Forse che i genitori di tutto il mondo non sono persone normali ?

E perché noi dobbiamo essere super?

E quello scemo a casa sua chi ha,  Wonder Woman ad aspettarlo ?

Queste elucubrazioni mentali ed altre ancora avevano accompagnato Enrica per giorni con Giorgio paziente ad ascoltarla ma anche a darle ragione.

Occorreva reagire, trovare altre soluzioni, non fermarsi . La fecondazione assistita aveva tormentato per mesi  Enrica, poi era stato Giorgio a dire : “adesso basta!”

C’era la Bolivia, ma i racconti di Marco e Diana li avevano scoraggiati. Mesi e mesi di convivenza con una famiglia di La Paz , a casa loro, senza poter mai litigare, senza mandarsi al diavolo almeno una volta come farebbe qualsiasi coppia del mondo.

Recitare come in una soap opera per settimane e settimane , sfoderando sorrisini, dicendo ogni due per tre “tesoro ”, “ciccio”, “amore”, per strappare un sì definitivo all’adozione.

Poi era arrivata la proposta dalla Siberia, c’ era una bambina di nove anni che li aspettava. Era fatta!

Senza riflettere avevano prenotato un volo Aeroflot, su uno scassatissimo aereo erano  giunti a destinazione.

Si trovarono di fronte ad  un lugubre casermone, “forse una vecchia prigione?” pensò Giorgio.

Prigione o no, tanti erano i bambini condannati a vivere lì dentro.

Una matrona in un liso camice bianco li accolse, sorridente, con un incisivo d’oro che traspariva sotto le labbra sottili.

Giunsero sulla soglia di una stanza, la matrona indicò una bambina , china sul pavimento , intenta a disporre dei mattoncini uno sull’altro.

“Quella è Tania” sussurrò e non disse altro.

La bambina sentì la voce e si voltò, senza dire niente, gli occhi spenti fissi verso l’alto, interruppe il suo gioco.

Anche gli sguardi di Giorgio ed Enrica si spensero, attoniti.

No, no, no una vigliaccata del genere no!

 “Amaurosi “ c’era scritto sulla scheda di Tania, telefonarono al loro medico, il “deficiente”  secondo il magistrato, che chiamò un oculista di sua fiducia perché troppo delicata la faccenda, ma anche lui confermò.

Non ebbero la forza Giorgio ed Enrica, si defilarono come ladri, si sentirono vigliacchi, cattivi, si inflissero ogni sorta di tortura mentale, lasciarono Tania, l’incolpevole Tania, al suo destino.

Ma vigliacchi non furono solo loro, ma tutti gli altri, tutti gli altri, che avevano  giocato con l’ingenuità di tre esseri umani.

Sulla via del ritorno , sorvolando le Alpi, Enrica decise che avrebbe tentato ancora una volta, avrebbe sopportato stimolazioni di ormoni a dosi da cavallo, avrebbe giocato l’ultima carta del destino.

Tags: adozionifamigliagiustizia italianainfanzamagistraturapolitiche familiari
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Commenti 1

  1. Nicoletta says:
    9 anni fa

    Non si possono giudicare Giorgio ed Enrica. Piuttosto sono condannabili i burocrati italiani che preferiscono
    lasciare i bambini negli istituti anziché affidarli a genitori imperfetti. Conosco personalmente una coppia giudicata inidonea all’adozione dai giudici italiani che hanno poi adottato una bimba ucraina vissuta i primi due anni legata in un lettino in istituto: l’hanno curata con amore recuperandone sia il fisico che la psiche
    ed ora è una ragazza felice alla faccia del giudice.
    Conosco anche chi ha adottato in sud America una bimba “prenotata” (adozione in alternativa all’aborto) poi nata idrocefala. Ognuno ha una capacità di accettazione più o meno forte, l’importante che conosca il proprio limite.

    Rispondi

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