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Dopo il voto 1/ Vincitori, vinti, trombati e rosiconi

di Massimo Weilbacher
28 Maggio 2019
in Home, Pòlis
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Dopo il voto 1/ Vincitori, vinti, trombati e rosiconi
       

Estraiamo qualche numero a caso dalla fiumana di dati che ci sta sommergendo a mano a mano che i risultati delle elezioni europee prendono forma.

Partiamo da Riace, piccolo comune calabro balzato agli onori delle cronache per via di Mimmo Lucano, un bizzarro sindaco-santone, ultra buonista sfegatato, abituato, secondo la locale procura, ad aggirare disinvoltamente la legge in nome di una sua personale idea di accoglienza e di legalità. Parossisticamente sostenuto dal solito baraccone intellettuale e mediatico, ma ugualmente rinviato a giudizio, Lucano è diventato in breve una icona politicamente corretta portata in giro per l’Italia come una specie di Madonna Pellegrina. Ebbene i suoi cittadini di Riace, con un’affluenza del 64,22% (a fronte del circa 40% del sud), hanno premiato la Lega di Salvini, primo partito con il 30,75% dei voti. Seguono 5 Stelle con il 27,43%, il PD con il 17,39%, Forza Italia con il 9,1% e Fratelli d’Italia con il 6,42%.

A quanto pare i concittadini di Lucano, dopo avere sperimentato direttamente sulla loro pelle le sue trovate immigrazioniste ed il suo approccio all’amministrazione si sono fatti un’idea precisa ed hanno scelto di conseguenza. Come d’altra parte quelli di Lampedusa e Linosa, anch’essi da molto tempo ostaggio del problema dell’immigrazione e delle scelte di amministratori buonisti. Qui la Lega è prima con il 45,85%, mentre il PD si ferma al 21,01%.

La ridicola e stucchevole favoletta buonista propinataci per mesi dai media in pellegrinaggio a Riace e Lampedusa ed in fila per carpire dalla bocca di Lucano qualche perla di saggezza si rivela per quello che è: una montatura mediatica per la quale valgono i versi di Leopardi: “all’apparir del vero tu, misera, cadesti” e che dimostra solo la lontananza dalla realtà dell’elite intellettuale autoreferenziale che continua ad imporre un dibattito pubblico carico di retorica inutile e faziosa ma del tutto privo di idee decenti.

Secondo dato interessante: Roma, Municipio 1: PD al 40,84%; Milano Municipio 1: PD al 42,49%; Torino Circoscrizione 1: PD al 41,18%. La sinistra delle terrazze parioline, degli attici meneghini, dei polverosi salotti subalpini è in gran forma e conferma la sua egemonia di classe.

Solo che la classe in questo caso è quella dei ricchi, benestanti e privilegiati interessati a difendere con le unghie con i denti i propri privilegi a scapito di tutti gli altri, quelli per i quali l’ascensore sociale è stato bloccato da tempo, quelli costretti a convivere con i veri problemi di tutti i giorni che si chiamano precarietà, disoccupazione, degrado e non antifascismo da salotto o europeismo di maniera. Abbandonata da anni la difesa dei diritti sociali, la sinistra è diventata l’approdo della borghesia conformista.

Intrappolata in un insulso gioco di società, si occupa oramai solo di diritti individuali (che Gramsci avrebbe liquidato come degenerazione individualista e piccolo borghese) perdendosi dietro a grotteschi passatempi da salotto come la farsa globale di Greta Thunberg. Quale sia la mentalità distorta ed elitaria che guida oggi la sinistra nostrana ce lo spiega, ancora una volta, Gad Lerner, principe del pensiero radical chic alla milanese, il quale ci informa costernato che “L’Italia leghista è un rivolgimento profondo, sociale e culturale prima ancora che politico, come testimonia il voto nelle ex regioni rosse. Già in passato le classi subalterne si illusero di trovar tutela nella trincea della nazionalità. Non finì bene.”

Ecco il punto: le “classi subalterne”, quella massa amorfa, rozza, incolta, incapace di riconoscere la guida preziosa e illuminata delle classi sovrastanti alle quali dovrebbe delegare il proprio destino, dalle quali dovrebbe essere docilmente guidata ad occhi chiusi e che invece si ostina a non capire, a non seguire, a non assecondare, a non accettarne la superiorità morale, culturale, economica, sociale.

Il solito popolo bue italiota che ricade nei soliti errori e nelle solite perniciose illusioni e pazienza se i “competenti” nostrani che dovrebbero salvarlo sembrano usciti più da un film della commedia all’italiana che da una business school americana. “Non finì bene”, come ci ricorda il buon Gad Lerner evocando per l’ennesima volta, stavolta senza nominarlo, il solito (inutile) babau.

Resta il fatto che il 40% dei quartieri alti diluito nel mondo reale diventa un ben più misero 22,7% con una perdita secca di 208.000 voti rispetto alle politiche di un anno fa nonostante l’apporto di LEU e di altre schegge della ex grande famiglia.

Al PD, dove evidentemente la matematica è un’opinione, sono convinti di avere ottenuto una grande vittoria e devono essersi dimenticati del leggendario 40,81% renziano delle elezioni precedenti. Confronto impietoso: -18,11% e 5.114.214 voti svaniti in 5 anni.

“Oggi rappresentiamo il pilastro per la costruzione non solo della opposizione ma della alternativa a quello che da oggi possiamo chiamare governo Salvini” proclama Zingaretti, al quale sfuggono evidentemente sia l’ulteriore emorragia di voti rispetto ad un anno fa (il progresso percentuale dipende solo dall’affluenza più bassa) sia l’impossibilità aritmetica di un’alternativa basata sul 22,7% (anche sommando ipoteticamente i voti dei 5 Stelle, come si sogna da tempo in molti salotti, in molte redazioni e in molte lobbies di potere). 

Come è evidente a tutti, i numeri hanno passato la palla a Salvini per il quale si apre ora una nuova partita, nella quale dovrà dimostrare di essere in grado di gestire, investire seriamente e far fruttare adeguatamente il grande consenso raccolto in questi mesi. E’ il momento di confrontarsi non più con i selfie della polenta o i tweet dei bacini ma con i veri problemi politici e non: la gestione di un alleato di governo inaffidabile ed incattivito dal disastro elettorale, l’economia, la crescita, i grandi progetti, le infrastrutture, i rapporti in Europa e con l’Europa. Un compito difficile per il quale non servono felpe o ruspe ma preparazione, cultura di governo e quadri dirigenti all’altezza. Ingredienti che fino ad ora la Lega di Salvini non ha mostrato di possedere in quantità adeguata.

Il voto ha premiato anche Giorgia Meloni, che si porta a casa ben 251.000 voti in più, l’unica insieme a Salvini (+3.270.000) ad accrescere il proprio consenso in termini reali. La strategia del contenitore ripieno di qualsiasi cosa porti voti (il solo Fitto ne ha rimorchiati ben 86.977), la lenta ma inesorabile decomposizione di Forza Italia e il riciclaggio di molti residuati e fuoriusciti hanno permesso ai fratellini della Meloni non solo di sopravvivere superando lo sbarramento del 4% (traguardo che sembrava lontano solo pochi mesi fa) ma anche di guadagnarsi il posto d’onore al fianco di Salvini.

L’obiettivo di raggiungere e magari superare Forza Italia non sembra più così assurdo e, soprattutto, la riproduzione della vecchia alleanza con i mandarini berlusconiani oggi risulta (finalmente) improponibile. Sarà la Meloni, salvo altri terremoti al momento non prevedibili, a fare da damigella a Salvini nel futuro politico della destra italiana.

Anche per lei si pone però, fatalmente, il problema di arrivare all’appuntamento con una classe dirigente adeguata e preparata che non può certo essere la improvvisata miscela di veterani dell’apparato di AN, vecchi democristiani riciclati, esodati del berlusconismo, reduci di varia estrazione e provenienza, ragazzi volonterosi che popola oggi gli organigrammi del suo partito.

Tags: elezionielezioni europeeGiorgia MeloniMatteo SalviniPartito Democratico
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