E’ sottile il confine tra democrazia e sovversione; tra rivendicazione dei diritti e deriva violenta. L’incerta epoca dello spread rischia ogni giorno di più, per osmosi, di tracimare in un odio sociale difficile da controllare e pacificare. E’ opportuno coglierne i germi, prima che diventino batteri resistenti ad ogni antibiotico. E’ utile e necessario ripercorrere la storia a ritroso – senza andare troppo lontano – per rammentare che le parole possono incendiare un’intera stagione generazionale. Così come la vacuità di idee, di valori condivisi e senso di appartenenza a un Bene comune possono renderla smarrita.
In Grecia volano le molotov. Qui non stiamo meglio: dagli scontri, non solo ideologici, sulla Giornata del Ricordo dei martiri delle foibe alla recrudescenza di istanze rivoluzionarie e sovversive, di cui è facile cogliere più che un indizio, il barometro tende a segnare cattivo tempo. C’è chi soffia sul fuoco, anche di nascosto. Chi plaude allo scontro, alle divisioni, all’odio politico: il retaggio di un periodo buio che ha fatto da prologo alla notte della Repubblica.
Servirebbero esempi forti, autorevoli: quelli tramandati dalla coerenza ideale e di pratica politica di Giorgio Almirante, di Pinuccio Tatarella. Ma è triste constatare che oggi, a far da grancassa nel tubo catodico e mediatico, è una coppia di uomini pubblici, o di icone che dir si voglia (per non far torto allo spropositato senso di sé ben coltivato ed esibito con diverso stile), distanti ma assolutamente simmetriche: Monti Mario e Celentano Adriano. Due figure che tengono la scena senza correre il rischio di dover davvero rispondere all’opinione pubblica (uno perché non eletto, l’altro perché non invocato, suo malgrado, messianicamente), e imperversano in un clima ovattato, quasi avvolto da un tranquillizzante liquido amniotico.
E’ lo specchio dell’Italia di oggi: apparentemente pacificata o vagamente rincoglionita, secondo i punti di vista. Eppure tocca sorbirsi il loden del professor Monti – mago numerico in tour per l’Europa – e lo spolverino di Adriano Celentano, o della sua attempata parodia da guru no global tinto.
Il bocconiano ostenta prudente e sobrio ottimismo sui numeri, sui rating (facciamo finta che non sia dei giorni scorsi l’ennesimo declassamento e il dato oggettivo della recessione tecnica in cui versa il nostro Paese); dice no alla candidatura di Roma Capitale alle olimpiadi del 2020 (restituendo ad Obama o ai colleghi europei l’immagine di un Paese vitale, vocato alla crescita?); esterna, sempre sobriamente, s’intende, sulla monotonia del posto fisso, in una Repubblica fondata, fino a prova contraria, sul lavoro (quantomeno sulla certezza e dignità di un lavoro che non c’è); e, da ultimo, si propone il modesto proposito di cambiare la mentalità degli italiani. Per adeguarla a non si bene quali parametri di evoluzione darwiniana. E meno male che il megalomane era il Cav.
Da Palazzo Chigi all’Ariston di Sanremo l’immagine è, per l’appunto, speculare. L’eterno ragazzo Morandi e il redento maratoneta del poker Pupo fanno da contorno non tanto a una gara canora morta da anni, e nemmeno all’esibizione scosciata di due vallette distanti dalle vituperate ‘olgettine’ solo per mezza spanna di notorietà in più, ma all’autocelebrazione di un vate molleggiato al quale manca solo l’aureola, che forse si materializzerà a furia di citare il Vangelo ad uso e consumo del proprio Ego. Pregevole la sua ‘innovativa’ esibizione fatta di inedite pause, introduzioni apocalittiche e fatwe sulla Chiesa e sui suoi quotidiani di riferimento; di indici puntati sui referendum sprecati. Per non parlare della delicatissima trattativa per ottenere un cachet fuori dalla grazia di Dio, salvo poi annunciare sobriamente (ecco il punto di contatto tra i due) l’intenzione di devolvere il tutto in beneficenza. Un santo laico. A parte l’esibizione di cattivo gusto (e di banalità ideale), fa tristezza vedere l’attempato guru sempre più infervorato nella parte del censore e del fustigatore del malcostume italiota e della sua deriva capitalista. Dispiace, a maggior ragione, per il fatto che il molleggiato non ha fatto una piega, né una pausa, quando la sua storica metà, Claudia Mori, imperversava sulla tv pubblica, con ottimo cachet, e senza beneficenza, nel ruolo di giudice della più commerciale vetrina televisiva, quella di X factor. ‘La coppia più bella del mondo’, forse, non si parla più; o dorme in letti separati. Come gli italiani e il film della politica che sta andando in onda, si spera verso la fine del secondo tempo.
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