Mai nelle tribolate elezioni presidenziali francesi della V Repubblica si era vista una simile entrata in scena. Segno dei tempi. Martedì 30 novembre alle 12 precise Eric Zemmour si è candidato ufficialmente all’Eliseo. A suo modo e con il suo stile. Un video di dieci minuti in pure stile Charles de Gaulle (versione simil appello da Londra 18 giugno 1940): sulla scrivania un evocativo microfono d’anteguerra, alle spalle una massiccia libreria, in sottofondo il 2° movimento della Settima sinfonia di Beethoven. Poi un breve discorso. Parole inequivocabili, durissime, potenti: “A lungo mi sono accontentato d’essere un giornalista, uno scrittore, una Cassandra, un segnalatore. Credevo allora che un politico avrebbe prima o poi ripreso la mia fiaccola. Mi ripetevo “ad ognuno il proprio mestiere, ad ognuno il proprio combattimento”. Mi era illuso. Non è più tempo di riformare la Francia ma di salvarla. Ecco perché ho deciso di presentarmi alle elezioni presidenziali”.
Proseguendo con aria grave e severa si è scagliato contro i governi (sia di destra che di sinistra) degli ultimi quarant’anni accusandoli tutti d’aver mentito ai francesi “dissimulando la gravità della nostra profonda decadenza” e di aver aperto le porte “all’immigrazione. Un fenomeno che non è la causa di tutti i nostri mali, ma di certo li aggrava tutti”.
Mentre scivolavano sullo schermo immagini di banlieu incendiate e tumulti razziali alternate ai volti di Giovanna d’Arco, Napoleone, de Gaulle (ovviamente), Alain Delon e Brigitte Bardot, Zemmour ha scandito “è arrivato il tempo di ridare voce a tutti quei francesi stranieri nel loro paese, esiliati in patria, umiliati dai potenti, dalle élite, dai benpensanti, dai giornalisti, dai politici, dai sociologi, dai sindacalisti, dalle autorità religiose, dai tecnocrati dell’Unione europea”. Unica strada possibile la riconquista della piena sovranità nazionale. “Non ci faremo dominare, vassallizzare, conquistare, colonizzare, sostituire”.
In poche ore il video ha terremotato i social (in poche ore oltre un milione di click) e, soprattutto, il mondo politico francese. Il portavoce del governo, Gabriel Attal, ha subito paragonato Zemmour a Donald Trump e il neogollista Eric Ciotti, possibile candidato della destra moderata, ha ridotto l’annuncio a “un non avvenimento” per poi riconoscere di condividere alcuni punti del programma zemmouriano. Insomma un colpo al cerchio e uno alla botte. La più preoccupata è, ovviamente, Marine Le Pen che ha nuovamente preso le distanze dallo scomodo concorrente (ed ex amico). “Una parte del suo programma è completamente opposto al mio: donne, economia, immigrazione. La fermezza non può essere confusa con la brutalità. Eric è un polemista non un candidato alle presidenziali. Lui divide, lui separa. Non porta nulla, non aggiunge nulla”.
A netto delle inevitabili polemiche, Zemmour ora deve trovare le 500 firme di sindaci e di eletti locali necessarie per validare la candidatura. Un compito non facile visto l’affollamento a destra di candidati “patrioti” (Le Pen, Dupont Aignan, Asselineau, Lassale, Philippot). Sarah Knafo, la sua dinamica manager-fidanzata, sostiene d’averne già trecento ma la missione resta complicata. Bisogna poi trasformare l’associazione “Les amis de Eric Zemmour” in qualcosa che assomigli a un partito e manca ancora il programma, compito affidato a Jonathan Nadler, un ex dirigente di banca Rothshild. Un personaggio certamente capace ma forse poco indicato per costruire quella «nuova sintesi gollista tra borghesia patriottica e classi popolari» auspicata dall’editorialista. Vedremo. Intanto la corsa è iniziata.