Sono molti i temi che Nanni Moretti – con il solito taglio autoreferenziale e autocelebrativo, ma con indubbia bravura filmica – affronta (o tenta di affrontare) ne Il sol dell’avvenire. Su tutti, però, domina una fantasiosa riflessione politico-nostalgica sui bei tempi del PCI, rimpianti come un’età dell’oro.
Un tema evidentemente molto sentito e dibattuto nei circoli della sinistra intellettuale dei salotti e delle terrazze romane (basti pensare agli insulsi beveroni cinematografici di Walter Veltroni) di cui Moretti è sempre stato un indiscusso punto di riferimento.
Con Il sol dell’avvenire Nanni Moretti mette le sue grandi e sempre originali capacità narrative al servizio di un’operazione tutto sommato scontata e banale, tipica della sinistra politica e intellettuale: l’autoassoluzione dalle colpe storiche, la depurazione della memoria, l’ablazione dei fatti scomodi, la fuga dalle conseguenze delle scelte sbagliate, il rifiuto delle relative responsabilità, siano esse storiche, politiche o anche etiche.
Una sinistra che pretende di essere giudicata non in base ai fatti ed alle scelte effettive, ma in base alle intenzioni, per definizione nobili e giuste, grazie alle quali riesce sempre ad autoassolversi e a rimarcare pesantemente la propria presunta superiorità morale.
Nanni Moretti ce lo dice chiaramente all’inizio del racconto del film nel film che il suo alter ego Giovanni, il protagonista, si appresta a girare: durante una riunione di pre-produzione sul set, nella fattispecie la ricostruzione di una sezione del PCI nel 1956, Giovanni strappa via l’effigie di Stalin appesa al muro: “Questa è una sezione del PCI dentro il mio film e io Stalin, che era un dittatore, non lo voglio vedere… straaap!”.
Un semplice “straaap” per cancellare un passato imbarazzante e renderlo compatibile col, e quindi utile al, presente trasfigurandolo arbitrariamente in una narrazione artificiale e politicamente corretta.
“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. Chissà se Nanni Moretti si è accorto di avere applicato la direttiva del Grande Fratello di Orwell (e dello stesso Stalin) che faceva cancellare dalle immagini ufficiali i gerarchi caduti in disgrazia.
Fare i conti con il passato stalinista, ammetterne gli errori e gli orrori, convivere con scelte e posizioni impresentabili è difficile se non impossibile, specialmente se si è convinti della propria superiorità morale. Molto meglio fare finta che non sia mai esistito.
In fondo il tema politico di Il sol dell’avvenire è tutto qui.
Come dice Giovanni decidendo di cambiare il finale del suo film: “Ma chi lo ha detto che la storia non si può fare con i se? Io voglio farla!”
E così la vicenda del film nel film, ambientata nel quartiere romano del Quarticciolo ai tempi dell’invasione sovietica dell’Ungheria, da drammatica diventa gioiosa, da cupa diventa ottimista, proiettando i suoi protagonisti – sineddoche di una sinistra comunista pura e idealista che può solo essere buona e giusta – non dentro ad un destino buio e tragico, ma in un futuro radioso. Il Sol dell’avvenire per l’appunto, verso il quale marcia ai Fori Imperiali in un tripudio di bandiere rosse, seguendo l’immagine di Trotzkij invece che di Stalin, l’allegro, variopinto e felliniano corteo del redento, riveduto e corretto popolo comunista nella scena finale del film. Una specie di parodia, o forse di rappresentazione alternativa, di certe manifestazioni del realismo socialista dell’epoca.
L’edificante parabola politica morettiana parte dall’arrivo al Quarticciolo di un circo ungherese invitato dalla locale sezione del PCI governata da Ennio, militante duro e puro, coadiuvato da Vera, militante appassionata e passionale.
Proprio durante il primo spettacolo del circo, al quale assiste addirittura Togliatti, i Sovietici invadono l’Ungheria. Le drammatiche immagini della rivolta di Budapest e dei suoi massacri trasmesse dall’unico televisore del quartiere impressionano tutti, ma il partito, ovviamente, si schiera senza esitazione con i compagni invasori. Come Ennio, sia pure con qualche dubbio, che da caporedattore dell’Unità e deve mandare in pagina i roboanti titoli che inneggiano alla repressione comunista, ma non Vera che invece si ribella e vorrebbe mobilitare la base per convincere il partito a cambiare posizione e condannare l’invasione.
Il dissidio tra i due, che sono una coppia, sarebbe insanabile e diretto verso un epilogo melodrammatico: Vera che restituisce la tessera e abbandona sia il PCI che Ennio il quale, deluso dal partito ed abbandonato dall’amata, si suicida.
Ma è qui che interviene Giovanni alias Moretti: la storia si può anche fare con i se e il finale del film nel film può cambiare, contrapponendo alla storia una narrazione di comodo: Ennio si schiera con Vera contro la linea del partito, insieme mobilitano la base e assediando Togliatti alle Botteghe Oscure lo costringono a cambiare la linea del partito e a condannare la brutale repressione della rivolta ungherese contrapponendosi all’URSS e distaccandosi così dal paese guida del comunismo. Grazie a militanti di base migliori persino del Migliore, gli ideali hanno prevalso sulla politica e le sue convenienze.
Quello del distacco tra base del partito (buona) e dirigenza (cattiva), qui rappresentato in modo onirico e quindi particolarmente inverosimile, è un tema ricorrente di Nanni Moretti, basti ricordare la oramai iconica scena di Aprile “D’Alema, di’ una cosa di sinistra! Di’ una cosa anche non di sinistra, di civiltà! D’Alema dì una cosa, dì qualcosa, reagisci!” o anche il famoso “con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai” del 2002.
Ne Il Sol dell’avvenire, invece, l’immaginaria base comunista morettiana riscatta gli errori dei dirigenti salvando la purezza dell’ideale e il futuro del comunismo, come spiega anche l’ironica chiosa finale.
Peccato, però, che sia solo fantasia, un pio desiderio, una rassicurante rappresentazione della realtà come dovrebbe essere ma come non è, dove non è facile capire se il regista voglia infondere speranza ai suoi compagni in un momento di crisi dell’impegno e degli ideali e di generale degrado della politica o non finisca piuttosto per credere alla finzione, illudendosi veramente che un passato infame e intollerabile non faccia parte dell’eredità politica della sua parte, non appartenga al corredo genetico del suo amato partito e possa comunque essere facilmente cancellato strappando qualche pagina della sceneggiatura della storia.
Un modo comodo per convincersi e convincere di essere sempre e comunque dalla parte giusta anche e soprattutto quando ci si ritrova da quella sbagliata.
Detto questo, non si può non riconoscere a Nanni Moretti un merito indiscutibile: la capacità del suo cinema, mai banale, di stimolare riflessioni, confronti e discussioni.
In un’epoca di mediocrità al potere, desertificazione delle idee e sottocultura imperante è un merito non da poco.