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Home Rassegna Stampa

Panebianco aggredito dai “pacifisti”. Ecco l’articolo incriminato

di Redazione
23 Febbraio 2016
in Rassegna Stampa
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Panebianco aggredito dai “pacifisti”. Ecco l’articolo incriminato

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A Bologna i rottami dell’estrema sinistra hanno aggredito il professore Angelo Panebianco, tentando d’impedire la sua lezione. La sua “colpa”? Aver pubblicato sul Corriere della Sera un editoriale sui limiti della politica estera italiana e sulla situazione libica. Un’analisi realista e in gran parte condivisibile. Ma per i “pacifisti” bolognesi, Panebianco è solo “un barone guerrafondaio con le mani grondanti di sangue”, quindi da zittire, emarginare, eliminare. Un delirio che ricorda il clima sulfureo degli anni di piombo. Vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà al docente — con cui non sempre concordiamo, anzi  — pubblicando il testo “incriminato”. Buona lettura.

L’accordo russo-americano per il cessate il fuoco in Siria era scritto sulla sabbia. I russi, grazie alla loro posizione di forza, continueranno ad aiutare, insieme agli iraniani, fino alla vittoria, il dittatore siriano nella lotta contro i «terroristi» (tutti gli oppositori armati del regime) e l’America, debole, ondeggiante e boccheggiante non sembra in grado di impedirlo. Anche l’impegno assunto con gli americani dalle potenze sunnite Turchia e Arabia Saudita di combattere lo Stato islamico (pure lui sunnita e con gli stessi nemici di turchi e sauditi) non è credibile. Lo Stato islamico è ancora lì a minacciarci (come ha ricordato il primo ministro francese Manuel Valls) e niente lascia pensare che possa essere neutralizzato in tempi brevi.

In Italia, pare, non abbiamo ancora compreso che cosa significhi, per la nostra sicurezza, il declino politico-militare degli Stati Uniti, la loro perdita di influenza in Medio Oriente (e non soltanto). Un declino che, a giudicare dai primi risultati delle primarie presidenziali, potrebbe anche approfondirsi: i due candidati che al momento spopolano nelle primarie democratiche e repubblicane, Sanders e Trump, sono entrambi protezionisti e isolazionisti. Se anche, alla fine, come è possibile, a vincere le nomination saranno candidati di establishment anziché di protesta, è poco plausibile che quegli «umori» popolari non lascino alcuna traccia.

E noi italiani, allora, che facciamo? Dal dopoguerra in poi ci siamo abituati a dipendere per la nostra sicurezza dall’America. Il vantaggio è la protezione di cui abbiamo goduto. Lo svantaggio è che non siamo stati in grado di sviluppare una adeguata «cultura della sicurezza»: assomigliamo a quei ragazzini che, avendo avuto genitori troppo protettivi, non sono capaci di cavarsela da soli. Anche i «buoni sentimenti» pacifisti che abbiamo sviluppato (non solo la sanissima idea che bisogna fare di tutto per evitare le guerre ma anche l’idea malata che non ci si debba attrezzare per difendersi) sono un lusso che ci siamo potuti permettere grazie a quella protezione.

Facciamo un esempio della nostra inadeguatezza di fronte ai nuovi pericoli. L’ennesima sentenza della magistratura ha dato ragione a mamme preoccupate e ambientalisti vari che cercano di impedire che il Muos, il sistema militare americano di comunicazioni satellitari entri in funzione a Niscemi, in Sicilia. Il Muos potrebbe essere uno strumento prezioso per anticipare eventuali attacchi missilistici ma c’è chi ipotizza che il suo funzionamento danneggerebbe la salute. Ma lo Stato islamico si è insediato sulla costa libica, a un passo da noi, e non gli mancherebbero i mezzi, se un giorno lo decidesse, per procurare alla salute danni assai più gravi.

Continuiamo a dire che quando, con modi e tempi da stabilire, si interverrà apertamente in Libia a sostegno dei libici impegnati contro lo Stato islamico (ufficiosamente siamo già lì da un pezzo), all’Italia spetterà un ruolo di leadership. Una rivendicazione apparentemente ineccepibile: per la continuità dei nostri rapporti con la Libia e per la nostra esperienza. Ma pesa la difficoltà dell’Italia pubblica (politica e mediatica) ad affrontare con conoscenze e competenza le questioni della sicurezza. C’è da temere che, quando arriverà il momento dell’intervento, il governo non sia riuscito a preparare l’opinione pubblica, non l’abbia resa edotta dei pericoli che correremo se non verrà fermata la deriva libica. Se arriveremo a quell’appuntamento con una opinione pubblica impreparata, ci saranno forti contraccolpi nelle piazze e in Parlamento.

Per qualcuno, il declino americano, se davvero diventasse irreversibile, non dovrebbe spaventarci. Non sarà forse l’Europa, un giorno, a provvedere alla nostra sicurezza? Qualunque cosa accada «un giorno», al momento, di questa Europa non v’è traccia. Ciò che accade intorno a noi, dovrebbe convincerci di quanto inconsistenti siano le giaculatorie sulla necessità di una «Europa politica», la quale, come è noto, viene sempre evocata solo quando si parla di euro e di banche. Si dimentica che le unificazioni politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state guerre e minacce geopolitiche a innescarle.

Dal Medio Oriente arrivano venti di guerra e minacce per gli europei. Solo il giorno in cui questa diventasse, su richiesta dei governi, la prima preoccupazione dell’Unione, si potrebbe rivedere il giudizio sull’inutilità delle giaculatorie a favore dell’ Europa politica.

Angelo Panebianco, Corriere della Sera 14 febbraio 2016

Tags: Angelo PanebiancoArabia SauditaBolognageopoliticaLibiapacifismoTurchiaUSAviolenza
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