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Le sei piaghe che condannano l’Egitto al caos

di Redazione
9 Luglio 2013
in Rassegna Stampa
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Le sei piaghe che condannano l’Egitto al caos
       

 

Sono le sei nuove piaghe d’Egitto. Sei mali fisiologici e strutturali che rendono il paese refrattario a qualsiasi svolta democratica o liberale e rischiano di far traballare anche il nuovo ordine dei generali trascinando nel definitivo caos l’Egitto del dopo Morsi.

 

I Fratelli Musulmani: Il movimento politico-religioso, ispiratore di ogni fondamentalismo, è sopravvissuto dal 1928 a oggi alle repressioni di Nasser, Sadat e Mubarak. Non cesserà sicuramente d’esistere dopo l’ultimo golpe. La sfiducia nel sistema democratico delle ali più estreme minaccia di generare un movimento clandestino pronto alla lotta armata sull’esempio di Hamas (nato a Gaza da una costola dei Fratelli Musulmani) e dei ribelli siriani della Fratellanza Musulmana.

 

Il buco nero del Sinai: Il passaggio alla lotta armata di alcuni settori della Fratellanza Musulmana farà affluire nuovi militanti nelle zone settentrionali del Sinai già controllate dai gruppi jihadisti autori di attacchi ai gasdotti e ai militari egiziani. I beduini ostili al governo garantiscono ai jihadisti il contrabbando di armi, i trasferimenti nel deserto e l’ospitalità nelle oasi. L’esercito costretto dagli accordi di pace con Israele a schieramenti ridotti di truppe potrebbe venir sopraffatto dai gruppi armati. La perdita del Sinai, la chiusura di Suez e la fine del turismo trascinerebbero alla bancarotta il paese.

 

L’economia fuori controllo: Il canale di Suez e il turismo sono le ultime fonti di capitali stranieri. Con Morsi le riserve di valuta estera sono precipitate dai 36 miliardi di dollari dell’ultimo periodo di Mubarak agli attuali 16 miliardi, sufficienti appena a coprire le importazioni di un trimestre. I buchi dei mesi precedenti sono stati coperti dalle iniezioni di liquidità garantite da Qatar, Libia e Turchia. Oggi quei soldi non arriveranno più. Chiusura di Suez e fine del turismo rischiano perciò di rivelarsi fatali.

 

L’economia sotto controllo: Oltre il 40 per cento della produzione nazionale, dall’acqua minerale, al pane ai carri armati americani assemblati su licenza, è controllata dai militari o aziende a loro collegate. Questo non consente lo sviluppo di un ceto medio indipendente e rende impossibile qualsiasi evoluzione liberale o democratica. Il paese è condannato dalla sua stessa struttura economica a oscillare tra il fondamentalismo e il gioco dei militari.

 

 

 

L’America fuori gioco: Finanziando i militari con 1 miliardo e 300 milioni annui di aiuti militari, le amministrazioni statunitensi succedutesi dopo gli accordi di Camp David del 1979 hanno mitigato il controllo di Mubarak e dei militari sul paese. La decisione di Obama di appoggiare fino all’ultimo Morsi ha delegittimato gli Stati Uniti privandoli della capacità di esercitare un’influenza autorevole e riconosciuta sui generali e sulle masse popolari.

 

 

 

La trappola salafita: Il partito salafita Nur, vicino ai wahabiti sauditi, ha collaborato all’estromissione di Morsi e dei Fratelli Musulmani legati al Qatar nella logica di una contrapposizione decisa dalle divisioni dei fondamentalisti e dei loro padrini internazionali. I salafiti di Nur non intendono certo inserirsi nel solco democratico o liberale, ma soltanto recuperare gli attivisti delusi dagli errori di Morsi e della Fratellanza. Sostituendosi alla Fratellanza Musulmana i salafiti di Nur non contribuiscono certo alla moderazione. Puntano piuttosto, sulla base del modello saudita, all’introduzione di Costituzione, legislazione e regole sociali ancora più allineate con la Sharia.

Gian Micalessin – Il Giornale, 9 luglio

 

Tags: Egittofratelli mussulmanigeopoliticaSinaiSuezUSA
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