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Luca Volonté/ Una siccità prevedibile che il “governo dei migliori” non ha voluto prevedere

di Redazione
18 Luglio 2022
in Rassegna Stampa
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Luca Volonté/ Una siccità prevedibile che il “governo dei migliori” non ha voluto prevedere
       

Ci vorrà del tempo per descrivere le tante misure restrittive delle nostre libertà che in questi ultimi due anni e mezzo ci sono state imposte da vari governi, tutti obblighi decisi, ci è stato detto, “per il bene del Paese e la salute dei cittadini”. Dal lockdown del 2020 si sono succeduti divieti, mascherine, blocco delle Sante Messe, restrizioni alle cene in casa, obblighi di acquistare auto elettriche, pannelli fotovoltaici sui tetti, vaccini e green pass… un lungo elenco di decisioni illiberali.

L’ultima delle proclamate emergenze ci suggerisce di lavarci meno, causa siccità, sbandierata come ennesimo effetto dei cambiamenti climatici irreversibili. Niente di più falso, la situazione italiana è reversibile. Si dice che non si poteva prevedere questa siccità, ma non è vero. L’allarme era stato lanciato dall’Unione europea all’Italia nel marzo scorso, con un documento (Drought in northern Italy March 2022) sulla crisi idrica incombente. Era prevedibile, cosa potevamo fare? Non c’è dubbio che la rete idrica italiana sia tra le peggiori del pianeta, visto che abbiamo una percentuale media di perdita pari al 39%: si perdono nei tubi delle infrastrutture idriche nazionali 39 litri d’acqua ogni 100 litri immessi, il 26% mediamente al Nord, il 45-46% nelle regioni del Centro-Sud.

Dunque, da inizio anno ad oggi, si è imposto d’urgenza ai Comuni o alle società di gestione di tali reti di evitarci almeno una parte degli sprechi? No. Si dice che ci voglia tempo per recuperare i ritardi, ma non si impone né un inizio né una fine dei lavori. Ancor meno si è fatto per obbligare i Comuni italiani a predisporre reti fognarie e depurare le proprie acque. Noi tutti, a ottobre 2021, abbiamo pagato una maxi multa di 25 milioni di euro all’UE e paghiamo da allora altri 30 milioni per ogni semestre di ritardo dei lavori. La sanzione sulla depurazione, comminata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea all’Italia, nasce da un contenzioso del 2012. Per quanto tempo dovremo pagare 60 milioni all’anno a causa delle amministrazioni che non si mettono in regola? Agire per tempo avrebbe potuto fornire più acqua (depurata) all’agricoltura e farne risparmiare molta per la vita di tutti noi. Agire per tempo ci avrebbe evitato di subire folli ordinanze d’urgenza di presidenti di regioni e sindaci, prediche astruse sulla portata del Po e strambe interpretazioni sulla tragedia della Marmolada.

Certo è, come detto, che dall’Europa era stato lanciato un allarme siccità all’Italia: Drought in northern Italy March 2022. Quanti invasi per la raccolta di acqua piovana sono stati costruiti da marzo a oggi? I nostri politici prediligono imporre misure last minute, piuttosto che prevenire i problemi. È vero che quello italiano è il consumo di acqua più alto in Europa, con un “dato medio pro-capite di circa 220 litri d’acqua al giorno, in Europa sono 165 litri”; è vero che noi ne siamo poco consapevoli, come dimostra un’indagine sociologica dello scorso marzo. Per favore, evitiamo liste di consigli “pratici” come quelle del Sole 24 ore che farebbero spendere qualche migliaio di euro a ogni famiglia in rubinetterie ed elettrodomestici o, addirittura, scatenerebbero mattutine lotte fratricide davanti ai rubinetti dei bagni di casa per sciacquarsi i denti, lavare rasoi affilati, passarsi sguizzanti saponette.

Non solo si dispensano imposizioni contraddittorie (lavarsi le mani per evitare il Covid e non lavarsele spesso per evitare il consumo di acqua); ci teniamo alla larga dalla soluzione dei problemi strutturali di cui soffriamo e lavoriamo per accrescerli nel prossimo futuro. Un esempio su tutti: gli impianti di desalinizzazione delle acque marine. L’Italia continua a essere un Paese bagnato dal mare e con circa 8300 chilometri di coste. Israele e Spagna, così come diversi Paesi arabi e asiatici, da anni utilizzano impianti all’avanguardia e dai costi contenuti, per avere scorte idriche più che sufficienti. In Europa esistono attualmente 2352 impianti di dissalazione che, per la maggior parte (84%), usano la tecnologia dell’osmosi inversa. Solo l’8% di questi impianti ha dimensioni consistenti, ma è proprio questa percentuale a contribuire maggiormente alla produzione di acqua non salata (69% del totale prodotto in Europa). Il Paese leader nella dissalazione in Europa è la Spagna (68%); non a caso, la Spagna è anche leader nel riutilizzo dell’acqua.

E noi italiani? Andiamo controcorrente. In piena crisi idrica il Governo Draghi ha approvato la legge cosiddetta “salva mare” (legge 17 maggio 2022, n.60), che di fatto vieta i dissalatori di acqua marina. Gli impianti di desalinizzazione destinati alla produzione di acqua per il consumo umano sono ammessi solo in casi eccezionali; dovranno rispettare un lungo elenco di condizioni, oltre ai soliti lacci burocratici statali. In pratica, nel migliore dei casi ci vorranno 8-10 anni. Una follia totale, ma – ci viene detto – a fin di bene: la tutela dell’ambiente, stavolta marino.

Eppure, per fare un nome, l’italiana Fisia, del gruppo Impregilo, è tra le imprese mondiali più capaci nella costruzione di impianti di dissalazione di acque marine e ad osmosi inversa. Gli impianti di Abu Dhabi e quello in Oman producono miliardi di acqua potabile al giorno, in Paesi dove il deserto regna. Solo con quei 60 milioni di multa che dobbiamo pagare all’Ue ogni anno per le fogne a cielo aperto si costruirebbero quattro impianti di desalinizzazione. Che facciamo, aspettiamo il deserto?

Luca Volontè, Nuova Bussola Quotidiana, 14 luglio 2022

Tags: ambienteLuca VolontéMario Draghisiccità
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