Mercoledi 16 marzo, Vincenzo Sofo curatore ed ideatore del magazine on line iltalebano.com, ha organizzato un incontro con Matteo Salvini e la nipotina di Jean Marie Le Pen al Palazzo delle Stelline a Milano. Abbiamo volutamente atteso qualche giorno per ragionare a mente serena. L’estetica nella politica degli anni novanta e duemila, era ed è il marchio di fabbrica di un’Italia che è stata per lungo corso, compartecipe ai gran galà delle vallette; tanti e troppi neuroni zero che infestavano la materia grigia di gonze e gagà, pescati negli improbabili lupanari dai tariffari che recitano a mena dito, solo un prezzo e tante prestazioni.
La politica snaturata dai suoi valori etimologici, ha ceduto sotto i colpi inferti dalle menti sterili, che si amalgamavano e si moltiplicano con le ristrettezze del politichese e ai deserti, delle arrampicate carrieriste. Siccome il nostro compito è quello di essere super partes e non al seguito delle carovane elettorali, l’assenza dei Magister e dei soliti feticci della destra italiana, ci è parsa come un’urgenza messa via da troppo tempo. Un’opportunità che esula dal significativo ammanco culturale che, caratterizza parecchie uscite del leader del carroccio. Non siamo certo leghisti ma, neppure moralisti e “fallaciani”, d’accatto. E questo e’ risaputo.
Tant’é che non ci piaciono neppure quelle vanterie vuote stile post-incontro, cosí distanti dagli antichi mestieri (questi lo erano davvero) piacevoli ma, pur sempre inutili ed insignificanti. Quanto il credere, nei capricci di un’epopea funanbolica a cui si è prestato i fianchi e le natiche, sempre da destra ma anche dal Nord. Nel mercoledi milanese, non c’è mai stata traccia dei “New College” che insegnavano la scienza del governo che andava a braccetto con le ripetizioni sul come riuscire nella vita. L’eredità del “New American way of life”, riletto dal sogno berlusconiano, è in frantumi. E questo è un merito.
Tanti saluti; orevuar Pascià di Arcore. Addio ai caravanserragli dove tutti volevano sostare; a piangere non è Verdini ma, piu’ di tutti è una destra che ne ha storicamente accettato le speranze, sin dagli esordi. Ancor prima della discesa politica e delle domeniche lacustri, passate con la sua famiglia a Caldè. Un buen retiro caro a Berlu e una stagione, dolce e subalterna, per i “tedofori della fiammella” perenne e del “Sole delle Alpi”. Nessuna idea. Tanta voglia di cancellare un passato ingombrante. Nessuna intenzione di leggere il presente.
Va da se che, partecipare ad un incontro che poco somiglia alle campagne elettorali liberal-manageriali, improntate sulla gestionalità della politica, cui e’ stato abituato fino a qualche annetto fa il conservatorismo (inteso in questo caso, come una parentresi parallela alla reazione) italiano, costava troppa fatica. Uno sforzo inutile per i presuntosi che gia’conoscono le peripezie del Front National: questo è l’adagio di chi ha deciso di copiare in carta velina i successi e le diatribe, di un qualcosa che neppure si conosce.
Senza accorgersi che qui da noi, sono inimitabili e, ripetiamolo, in maggior misura per il contesto socio-culturale. Ma anche perchè, c’è poco da capire per una destra, che non ha nulla da ascoltare. Tanto meno se a discuterne è Marion Maréchal Le-Pen e non il solito, organo collegiale, composto dai soliti illustri e dalle stesse sentinelle che nessuno a scelto ma, che continuano, indisturbati, ad autoeleggersi e a promuoversi.
Nulla di nuovo per i figli iconoclasti di «un tempo compresso e dilatato», in piena regola con il racconto Dayan di Mircea Eliade. In linena con i tempi ed il lontano ricordo, di un cambiamento quale doveva essere il Congresso di Fiuggi e che invece, ha sancito un ingresso pilotato e in doppio petto, nei territori sconosciuti (?) del liberalismo centrista. Una storia ed una fine insita nelle immancabili celebrazioni di un fortino spazio-temporale che si espande e si ritrae, solo in funzione di se stesso. Ma cosa c’entra Marion, la giovane e bella delfina del FN, nonchè molto attenta a non tradire la rispettabilità del nonno Jean Marie al contrario della zia Marine, con la sarabanda e il rettorato della Fondazione di Alleanza Nazionale ? Nulla. Sopratrutto, perche’ non è impegnata a copiare come fece il nonno Jean Marie il Movimento Sociale Italiano.
E’ probabile che a differenza degli eredi missini, in Francia si siano accorti gia’da parecchio che il frastuono del tamburo, imbracciato da Marine contro il padre per la gestione della cassa e del “giochino di famiglia”, anche in Italia era assordante ? Semplicemente, hanno deciso di dedicarsi ad altro, piuttosto che alle fantasie e al «lezzo puritano» che si è impossessato di animi spenti. In Francia, il Front National ha puntato tutto sull’organizzazione che prima gli mancava. Dimenticandosi, anche qui bisogna ricordarlo, della dabbenaggine nascosta dietro quei coretti `patriottardi`, dall’immancabile ritornello colonnesco, di “un’Italia che è desta”.
La direzione del FN e Marion in visita a Milano, hanno svelato uno dei segreti che ha permesso al partito ex casa Le Pen, ora il piu’ amato di Francia, il raggiungimento di risultati inattesi: l’elaborazione prima e la costituzione poi, di “gruppi collettivi” dipanati su tutte le categorie della società, aperti al dialogo e finalizzati ad eleborare, le soluzioni possibili per delle problematiche che sono urgenti. Avvicinadosi in pochissimo tempo, alle rappresentanze lavorative, industriali, sociali, culturali, dei mestieri e delle professioni.
Dall’assistenza rivolta ai pensionati sino al sostegno per gli indigenti, subito dopo aver virato con una brusca e decisiva ricaduta a terra dal basso verso l’alto che è la chiave del successo politico. In buona parte perchè, il FN tutto è stato in passato tranne che essere l’impronta, delle nozioni rivolte ad una collettivita’ e ad una comunità di destino . Cosi’ dicono i maligni che non sanno, quanto la verità non sempre, corrisponde alle proprie aspettative. E Jean Marie ? Una mano continua a darla, nonostante i suoi simpatici “intermezzi”. Gli si puo’ imputare tutto, tranne l’essersi mai dichiarato di destra. Un piccolo particolare spesso ignorato.
Alle lobby di puro interesse politico e prebendistico (il riferiamo non va certo solo a Giorgia e al suo partito), da oltralpe si contrappone la meticolosita’ e l’insegnamento quasi in fasce, della gestione del potere. Ebbene, dovete ammetterlo: da noi e’ fantapolitica. Pero’ nonostante, crediamo che l’incontro promosso da Vincenzo, sia l’inizio per un ulteriore passo in avanti. E cosa non da meno, di sicuro puo’ essere ampliato non solo ai protagonisti della partitocrazia. Se vogliamo, l’avvio di un laboratorio culturale che non deve per forza rifarsi alla recitazione di un mantra, autoimpostoci dalle due M: Marion e Marine.
Cosa ben diversa dal mettere a nudo le anomalie della democrazia rappresentativa e delle deleghe, pensando a chi verra’ dopo di noi e ad una visione, d’insieme, che non puo’non ricadere sulla partecipazione generale a seconda delle proprie competenze, nei posti che gli competono. E che non puo’ trascendere da un apporto metafisico, metapolitico ed in ultimo politico, rivolto alla comunita’ che come tale, ha una sua impronta culturale; differentemente dalle tipizzazioni culturali, sociali e di tendenza/e espandibile, della società.
Un ritorno alla polis: sempre che ci sia la volonta’ e che il tutto, non sia disperso alla prima folata di celebrita’ elettorale. Pensandoci bene, una costante che è riconducibile ad un altro contenitore che ha abolito una terminologia di destra e che, inevitabilmente ed in buona parte, ne sta assorbendo sia i pregi che i difetti. Le migrazioni in blocco dei gazzettieri della politica, non aiutano e il futuro non è ad appannaggio solo di chi sa calvacare, la popolarita’ del fraseggio. Marion, per certi versi non ha smarrito la strada. La nostra invece, e’ completamente plasmata dai mimi e da poemetti bucolici da cancellare il prima possibile. E gia’ questa è un’impresa. Senza strillare…
Solito errore dei giornalisti di destra: prima i commenti e poi i fatti e chi non è dentro gli avvenimenti non capisce. Vizio vecchio risalente al BORGHESE.
Penso che Marco Abeti abbia ragione.
Ma quali sono i fatti?
Ho letto l’articolo due volte, ma non ho ancora capito dove l’autore volesse andare a parare.