L’avanzata del centrodestra in occasione delle recenti elezioni amministrative è evidente e sensibile, tuttavia appare prematuro disegnare scenari che vedono la coalizione formata da Lega, Forza Italia e Fdi –insieme a una variegata galassia di cespugli centristi- antagonista vittoriosa del centrosinistra a guida Renzi. Soprattutto se si volge lo sguardo alle prossime elezioni politiche. E non solo perché in quell’occasione il Movimento 5 Stelle giocherà una partita più consona al suo essere rispetto a quella delle amministrative. L’elemento che dovrebbe spingere a più prudenti valutazioni è tutto interno al centrodestra e ruota intorno ad un interrogativo: quale centrodestra ha vinto –per semplificare- le amministrative di primavera? Quello moderato e liberale descritto da Brunetta nei commenti post voto o quello a trazione “sovranista” dell’asse Lega – Fdi? E quale centrodestra correrà alle politiche?
Interrogativi solo in apparenza banali, perché ciascuno dei due “centrodestra possibili” implica proposte e posizioni differenti, quando non completamente divergenti, su temi che saranno centrali in occasione della campagna elettorale per le politiche. Ad iniziare dal rapporto con l’Unione Europea, per arrivare al mercato del lavoro ed alle politiche economiche. L’analisi fatta da diversi esponenti di Forza Italia, ad iniziare da un Berlusconi rianimato dalle prospettive proporzionaliste sulla legge elettorale, è quello di un centrodestra che vince in quanto moderato ed inclusivo. Anche nei confronti di quei centristi, alfaniani in primo luogo, che in questi anni non hanno fatto mancare il proprio sostegno ai governi di marca Pd.
Un’analisi, quella del duo Berlusconi e Brunetta, che tuttavia non sembra reggere alla prova dei fatti. Le vittorie ottenute nelle città del centro-nord lasciano intravedere un ruolo centrale della Lega nel successo del centrodestra. E non solo in Liguria, dove il governatore azzurro Toti ha da sempre rappresentato l’ala di Forza Italia più attenta al confronto con la componente di destra della coalizione rappresentata da Lega e Fdi. Ed è da questo dialogo, più che da inciuci centristi, che sono nate le vittorie di Genova (dove la Lega conquista 9 consiglieri rispetto ai 5 di Forza Italia) e La Spezia. Anche il “miracolo L’Aquila” ha visto un contributo decisivo dell’ala destra della coalizione, come testimoniano i risultati di Fdi (4 seggi) e Noi con Salvini (4 seggi).
Ma sono probabilmente le regioni del Mezzogiorno a fornire, in negativo, la controprova della centralità del ruolo della Lega, dunque di un movimento di chiara ispirazione identitaria e sovranista, all’interno della coalizione di centrodestra. Campania e Puglia, a dispetto di qualche successo azzurro, sono le regioni dove il centrosinistra ha conquistato i migliori risultati in questa tornata amministrativa. Campania e Puglia sono, nel contempo, le regioni dove più debole è la presenza della destra del centrodestra: decisamente fallimentare, salvo qualche rara eccezione, l’esperimento Noi con Salvini, mentre anche Fratelli d’Italia non gode di salute particolarmente florida. Comprensibile l’entusiasmo dell’ex governatore campano Stefano Caldoro per le vittorie rimediate in alcuni comuni di una regione finora “blindata” a favore del centrosinistra, ma si tratta di tre comuni su diciotto (senza tenere conto di realtà in cui si sono imposti candidati sostenuti da civiche solo vagamente di centrodestra) tra i più grandi chiamati alle urne. In Puglia, poi, le sconfitte di Taranto e più ancora di Lecce, dopo oltre vent’anni di governo del centrodestra, non trovano alcuna compensazione in qualche affermazione in comuni minori. Addirittura in Puglia in un paio di casi in centrodestra è perdente nel ballottaggio con il Movimento 5 Stelle.
Insomma, le prestazioni del centrodestra “depurato” dalla sua componente sovranista non appaiono poi così brillanti. Una valutazione che non dovrebbe sfuggire agli esponenti azzurri che esultano perché intravedono la fine della traversata nel deserto. Ma questo è un dato che più ancora non dovrebbe essere sottovalutato da Salvini e Meloni: a loro il compito di evitare che una dissennata corsa al centro rivitalizzi un Pd in evidente difficoltà ed offra al M5S una più forte presa su quella parte, grande, di elettorato che si sente lontana dai riti stantii del Palazzo.