La casa editrice Rubbettino costituisce da anni una delle realtà culturali del Mezzogiorno più vive e più attive da meritare l’inserimento a pieno titolo tra le case editrici più attente, più dinamiche e più scientificamente credibili ed attendibili sul piano nazionale.
Nel volume Alessandro Campi riunisce sei saggi, apparsi in un arco temporale quasi ventennale (1995 – 2013), dedicati a Raymond Aron (1905 – 1983), il sociologo, analista politico e commentatore, da qualcuno in forma – osserva obiettivamente Campi – “iperbolica” definito il “Tucidide del XX secolo”.
Dopo il primo “Trittico sulla guerra. Schmitt, Aron, Freund” del 1995, il docente presso l’ateneo di Perugia ripubblica la relazione presentata in un convegno internazionale, svoltosi a Budapest nel 2000, intitolata in maniera esaustiva “Raymond Aron e la tradizione del realismo politico”. Il terzo ed il quarto analizzano due temi prediletti nelle riflessioni di Aron, quello ancora sul realismo nell’ambito della politica internazionale con riguardo al dialogo mancato tra Aron e Morghentau (2003) e quello “Il conservatorismo liberale di Raymond Aron e i limiti ideologici della destra” (Napoli 2006).
Nonostante, appunto, abbia avuto l’onestà di individuarne disfunzioni, ritardi, omissioni e scompensi, avendola disegnata e disegnandola “aperta al confronto con la modernità, realista e pragmatica”, Aron, reo di essere stato “un critico risoluto del marxismo e della cultura di sinistra”, “è stato sempre considerato – in modo polemico e talvolta liquidatorio – come un uomo di destra”.
E in questa vicenda dell’etichettatura denigratoria quanto comoda si ripete la consueta tattica della sinistra, incapace di apprezzare l’equilibrio critico di Aron, e l’altrettanto tradizionale debolezza nel contrattacco e nella confutazione argomentata. La destra, cronicamente acquiescente in campo intellettuale, diviene in campo politico inconsistente, come dimostra il caso demoralizzante della propria abdicazione, della fuga dalla responsabilità nelle amministrazioni civiche.
Senza giungere ad una demitizzazione polemica Aron è stato attento quanto informato e misurato critico del troppo a lungo e troppo immeritatamente esaltato “maggio francese”, come è documentato nella rivisitazione, al solito lodevole, di Campi («Il Sessantotto nell’interpretazione di Aron : lo psicodramma della “rivoluzione” studentesca»).
Il culmine, come è giusto che sia, è raggiunto con il saggio di chiusura, il più recente (2013) e soprattutto il più utile come patrimonio del dibattito nazionale ed internazionale di questi anni (“La questione nazionale e il problema politico dell’Europa”).
Aron ha intuito i limiti, le incongruenze e le “venature utopiche” del progetto di unificazione europea. Campi pone adeguatamente in luce che “la lealtà alla nazione, alla propria nazione, quella nella quale si è nati e nella quale ci si è formati da punto di vista delle credenze, dei valori e delle conoscenze, alla quale si è scelto di concedere la propria adesione consapevole, che si considera come la propria comunità di appartenenza, per Aron è stato sempre un punto fermo della sua visione storico – politica e del suo credo come cittadino”.
Dovrebbe – purtroppo solo con il condizionale – essere proprio della destra, senza innaturali commistioni, “contro le dottrine che inclinano all’universalismo e contro certe forme di neo – tribalismo politico a sfondo etnico – territoriale “ il convincimento che “la nazione per come storicamente si è costruita soprattutto nel quadro europeo è quella forma di unità collettiva che consente all’individuo un’appartenenza mediana e virtuosa […] tra un’umanità che come formula identitaria rischia di risultare troppo vaga e astratta e la dimensione ristretta del villaggio e del piccolo territorio che rischia di alimentare l’egoismo sociale e il culto folcloristico del passato”.
ALESSANDRO CAMPI
“La politica come passione e come scienza. Saggi su Raymond Aron”
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015
Pp. 202. Euro 14,00.