L’ attenzione per le elezioni amministrative del prossimo giugno è crescente, anche se il governo furbescamente ne sminuisce il peso e le svuota di valenza politica, agevolato dalla mediocrità, dall’inadeguatezza e dalle incertezze dell’ “opposizione” di centrodestra.
All’argomento ha dedicato un editoriale, non privo di ombre e non poco contestabile, Antonio Polito (“Il declino di Roma e Napoli. Città e partiti a pezzi. Al fallimento del sistema politico si accompagna il fallimento del sistema urbano”).
Polito è dell’avviso che la destra sia a Roma frantumata in tre “pezzi”, fautrice il primo di Bertolaso, il secondo identitario di Storace mentre il terzo, che più appropriatamente andrebbe considerato qualunquista, perbenista e malinformato, “tifa” (del resto non si tratta altro che di un sentimento effimero e fragile) per tale Marchini. Della sinistra nella capitale, polverizzata in cento e cento frazioni, “l’un contro l’altra armata”, Polito non valuta ed ignora la disarticolazione, mentre pessimistica è la valutazione sul quadro a Napoli, minacciata dal rientro del vecchio ma sempre interprete e voce della vera sinistra e non del nulla renziano, Antonio Bassolino.
“Queste due grandi aree metropolitane [altra invenzione inutile e già largamente fallita] – osserva il giornalista – sono forse il punto più dolente e marcito della crisi italiana, e in questi anni sono scivolate sempre più lontano dall’Europa, sempre più risucchiate verso il Sud del mondo”.
Ma, in verità, tanto a Roma quanto a Napoli, ma non solo, la salvifica riforma della elezione diretta dei Sindaci non ha avuto che versioni deformate, alterate, svisate dai protagonismi e dalle personalizzazioni. Un altro difetto di straordinaria gravità si è manifestato con la crisi dei partiti e dei raggruppamenti politici, capaci di selezionare esclusivamente una classe dirigente di livello avvilente, escludendo donne e uomini credibili ed attendibili.
Il povero Alemanno ha avuto addossate, da bravo cireneo, le proprie responsabilità di non poco conto e quelle di altri, ora defilatisi, al contrario dell’”arancione” De Magistris, “padre e padrone” della città del Vesuvio ed uno dei maggiori e più fulgidi campioni dei magistrati scesi in politica.
Il “centrodestra”, sia a Roma quanto a Milano, non è stato in grado di individuare una candidatura di solida caratura politica, rifugiandosi negli “uomini della provvidenza”, già più volte sperimentati con risultati deludenti (Albertini “in primis”).
Le due megalopoli denunziano crisi organizzative e carenze logistiche, indegne di un paesino del VI mondo, disordine delinquenziale e criminale devastante con uno Stato, oggi più di ieri, con Alfano latitante e inefficiente.
Polito, con finta ingenuità, arriva a meravigliarsi che “l’energia cinetica di Renzi non sia riuscita finora ad assorbire il rifiuto della democrazia dei partiti”.
Ma è difficile non capire, impossibile se non lo si vuole, che obiettivo primario della linea, che presenta come Renzi come portavoce, è la demolizione e la mortificazione dei partiti, al posto dei quali, al pari di quanto malamente tentato o fatto da Berlusconi, si mira all’edificazione di una struttura, egemone in ogni ganglio della società, solo autocratica, versione nel XXI secolo di una democrazia “popolare”.