L’operazione Dynamo, ovvero l’evacuazione dalle spiagge di Dunkerque del corpo di spedizione inglese accerchiato dalle armate corazzate tedesche, arriva al cinema con il nome (per motivi di marketing) di Dunkirk, ultima fatica del regista, sceneggiatore e produttore britannico Christopher Nolan (la trilogia del Cavaliere Oscuro, Memento, Inception, Interstellar).
Già definito da alcuni il miglior film di guerra mai prodotto, Dunkirk celebra una delle più incredibili operazioni militari della seconda guerra mondiale.
Il contesto storico è noto: il 10 maggio 1940 i tedeschi pongono fine alla Sitzkrieg (drole de guerre, guerra balorda, per i Francesi), scatenano una formidabile offensiva (“Fall Gelb”, il Caso Giallo) e invadendo Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Francia settentrionale in soli dieci giorni raggiungono la Manica.
Il generale Heinz Guderian sfonda il fronte della Mosa il 13 maggio e incurante degli ordini contrari del maresciallo Von Kleist, suo superiore diretto (“al diavolo quello che c’è dietro di me”), con la famosa manovra a falce del suo del XIX Armeekorps lancia i Panzer in una corsa frenetica verso il mare che la sera del 20 maggio porta l’avanguardia della 2° Panzerdivision a raggiungere la Manica all’altezza dell’estuario della Somme.
Un’armata di oltre 400.000 uomini rimane così intrappolata in una gigantesca sacca che di fronte alla pressione tedesca si restringe sempre di più: in pochi giorni a Nord si arrendono gli eserciti di Belgio e Olanda mentre a Sud cadono una dopo l’altra Boulogne e Calais costringendo il corpo di spedizione inglese e i resti dell’esercito francese ad ammassarsi sulle spiagge di Dunkerque in attesa del colpo finale o di una evacuazione quasi impossibile.
Ma proprio quando la 1° Panzerdivision si appresta ad aggredire il perimetro di difesa anglo-francese Hitler in persona ordina ai corpi corazzati di Guderian e Hoth di fermarsi, l’attacco finale è annullato.
E’ una delle più controverse decisioni di tutta la guerra, le cui ragioni ancora oggi non sono chiare: forse un errore di valutazione, forse – più probabilmente – una scelta deliberata con risvolti politici.
Fatto sta che l’interruzione dell’offensiva terrestre unita al cattivo tempo, che ostacola le operazioni della Luftwaffe, permette agli Inglesi di tentare il “miracolo” (così lo definirà Winston Churchill) di salvare il loro esercito, cruciale per le sorti future della perfida Albione.
Scatta così l’operazione Dynamo, pianificata per tempo dalla Royal Navy.
Il suo comandante, vice ammiraglio Bertram Home Ramsay, requisisce e spedisce verso le spiagge francesi, oltre a 42 cacciatorpediniere, tutte le navi disponibili e tutto quello che è in grado di galleggiare: mercantili, traghetti, postali a vapore, navi costiere, pescherecci, rimorchiatori, scialuppe, imbarcazioni da diporto.
E’ proprio a questo punto della storia che si innesta il racconto di Dunkirk, incentrato su tre emblematiche vicende umane che, da diversi punti di partenza, si incontrano e si intrecciano simbolicamente nel cuore degli avvenimenti.
Il fante inglese Tommy, unico sopravvissuto del suo reparto, che cerca disperatamente di lasciare la spiaggia con ogni mezzo rischiando ogni volta di lasciarci la pelle; Mr. Dawson proprietario del Moonstone, un piccolo yacht requisito dalla Royal Navy, che decide di condurre personalmente a Dunkerque aiutato dal figlio Peter e dal suo compagno di scuola George; Farrier e Collins, piloti della RAF che con i loro Spitfire devono proteggere le navi Inglesi impegnate nell’evacuazione dai bombardieri tedeschi.
Le vicende dei protagonisti, impossibili da riassumere in poche righe anche per non rovinare il piacere del film, si svolgono tutte più o meno nell’arco di una sola giornata (a parte qualche indispensabile digressione sul contesto generale) durante la quale il nemico tedesco non compare mai se non evocato come minaccia incombente.
Nessuna contrapposizione diretta tra buoni e cattivi, tra amici e nemici: solo un gruppo di uomini che in circostanze estreme si trova alle prese col proprio destino e le proprie responsabilità.
La sequenza temporale dei singoli avvenimenti viene continuamente scomposta e ricomposta in un complesso gioco di incastri tra flash back e tempo reale che svela a poco a poco il senso dei fatti, che si ricompongono completamente solo nel finale, quando tutte le singole vicende convergono e si riuniscono simbolicamente a bordo del Moonshine, vero simbolo di quello che ancora oggi gli Inglesi chiamano “miracle of the little ships”.
Il risultato di questo originale approccio narrativo di Christopher Nolan, non nuovo a scelte del genere (vedi Inception), è un racconto sempre avvincente e carico di tensione sino all’ultimo, nel quale l’interesse dello spettatore non può avere pause, grazie anche all’estremo realismo delle scene e della ricostruzione storica, ottenuto ricorrendo il meno possibile alla grafica computerizzata a favore della riproduzione dal vero.
Nelle diverse scene, quasi tutte ambientate proprio nei luoghi dei fatti, compaiono così navi da guerra d’epoca, diverse imbarcazioni che hanno realmente preso parte all’evacuazione di Dunkerque e tre Supermarine Spitfire originali e funzionanti (le sequenze dei combattimenti in volo sono particolarmente curate), sostituiti da perfette riproduzioni a grandezza naturale nelle scene in cui vengono distrutti.
Il Messerschmitt Bf 109 contro il quale si battono, invece, è una replica ricavata da un altro aeroplano simile, mentre gli Stukas e l’Heinkel 111 che bombardano navi e spiagge sono modelli radiocomandati in scala.
Non so se Dunkirk sia veramente il miglior film di guerra mai girato (personalmente considero Apocalipse Now di Francis F. Coppola insuperato e, forse, insuperabile), ma di sicuro è un grande film che vale senz’altro la pena di vedere.
Ben costruito, ben interpretato da un cast di ottimo livello, avvincente e fedele alla realtà storica, si fa perdonare facilmente qualche licenza poetica, come lo Spitfire di Collins che, finita la benzina, continua a volare come un aliante e lo sconfinamento finale nella retorica patriottica, peraltro sobria e composta specialmente se paragonata a quella superficiale e grossolana di certe produzioni americane.
In fondo il regista è un suddito di Sua Maestà, orgoglioso della storia del proprio paese e del proprio popolo, capace di unirsi e reagire di fronte ad una situazione terribile che aveva messo in pericolo la sua stessa sopravvivenza, trasformando un potenziale disastro in una grande vittoria ed in un grande esempio per tutti.
Ciò grazie anche ad una classe dirigente all’altezza delle circostanze, ben simboleggiata nel film dalla figura del Comandante Bolton interpretato da Kenneth Branagh, nella realtà il comandante William Tennant, responsabile sul campo delle operazioni, che dal 27 maggio alle prime ore del 4 giugno riuscì ad evacuare da Dunkerque ben 338.226 uomini, inclusi i generali Montgomery, Brooks e Alexander, (Churchill avrebbe considerato un successo salvarne solo un decimo), lasciando la spiaggia tra gli ultimi.
Situazioni e comportamenti che noi Italiani possiamo solo ammirare ed invidiare.
Tre anni dopo l’operazione Dynamo, di fronte a circostanze altrettanto drammatiche, l’Italia e la sua classe dirigente avrebbero offerto al mondo uno spettacolo ben diverso: il tradimento, la vergogna della resa, la fuga precipitosa dei capi, l’indecente tutti a casa, la guerra civile.