Non tutti i morti sono uguali. Purtroppo. Giovedì scorso, il giorno in cui tutto il mondo guardava Parigi, in Libia un gruppo jihadista annunciava l’esecuzione di Sofien Chourabi e Nadhir Ktari, due giornalisti tunisini (e musulmani) rapiti lo scorso settembre. Coincidenze tragiche che ci confermano una volta di più la gravità della crisi libica. Dalla caduta di Gheddafi — un clamoroso errore strategico — il paese nordafricano si è disintegrato, frantumato: il risultato al momento è un “governo” laico, riconosciuto dall’Occidente e dai paesi arabi moderati, con sede a Tobruk e un altro a Tripoli, formato dai fondamentalisti islamici che hanno conquistato la capitale lo scorso agosto. I due “governi” annaspano nel caos più assoluto e l’unica cosa che sembra funzionare sono i rispettivi ministri del petrolio che pretendono di essere i legittimi e unici responsabili dei giacimenti nazionali…
Ma al peggio non vi è limite. Tra le due strambe (e fragili) entità pseudo statuali è sorto, dallo scorso novembre, il Califfato di Derna, un piccolo ma efficiente regno del terrore su cui sventolano le bandiere nere dell’Isis. Il califfo locale è l’emiro Abu Nabil al-Battar, iracheno, sodale e amico del collega al-Baghdadi dai tempi della loro prigionia nelle carceri americane in Ira. Così, al centro del Mediterraneo, a poca distanza dalle nostre coste, operano a pieno ritmo una decina di campi d’addestramento che formano i jihadisti dell’Africa settentrionale.
L’Unione europea, finalmente risvegliatasi dal suo colpevole torpore, ha imposto alle due fazioni principali un incontro a Ginevra, la settimana prossima, per cercare una soluzione politica e formare una linea comune contro l’emirato. Il pessimismo tra gli analisti è profondo e giustificato. Gli Stati maggiori occidentali (anche quello italiano…) stanno preparando i piani per un intervento militare sull’ex “quarta sponda”. La missione si annuncia molto difficile.