Milena camminava per le strade del centro a pomeriggio inoltrato, contenta e sollevata perché sapeva di avere davanti una serata tutta per sé, in cui avrebbe deciso che cosa fare , se oziare davanti alla tv, telefonare alle amiche o leggere un libro, tutte cose senza un impegno fisico, senza un orario. Ad un certo punto, giunta in piazza della Scala, fu distratta dai suoi pensieri perché, preceduta da un trambusto di gente e di grida, vide la scena di un gruppo di ambientalisti che verniciavano o meglio imbrattavano di vernice la statua di Leonardo da Vinci. Istintivamente, vedere uno dei simboli di Milano sfregiato in modo così volgare le provocò un senso di ribellione e di disgusto. Non volle indugiare oltre, non volle dare spazio ad alcun risentimento e proseguì per la sua strada verso la fermata del tram di via Tommaso Grossi.
Mentre camminava, cercò di mettere ordine alle sue reazioni; d’accordo, il gesto era forte, l’oltraggio evidente, ma coloro che stavano attuando quel forte gesto erano pur sempre dei compagni, o comunque gente assimilabile alla sua parte politica; la sua militanza a sinistra non poteva permettersi reazioni istintive da borghese benpensante. Occorreva una riflessione politica di maggiore spessore. In fin dei conti l’effetto dell’imbrattamento sarebbe durato solo qualche ora, mentre il richiamo forte sui problemi ambientalistici avrebbe fatto breccia nelle coscienze dell’immaginario collettivo; per scuotere la gente occorrevano gesti forti. Quando salì sul tram, si sentiva di nuovo in pace con se stessa, aveva represso quel richiamo perbenista da borghesuccia qualunquista e ripreso le redini della sua coscienza rivoluzionaria. Ecco cosa doveva fare quella sera! Una canna dietro l’altra, poi leggersi qualcosa della Murgia.
Sul tram avvenne un fatto che di nuovo la distrasse dai suoi pensieri; nella calca una ragazza, probabilmente rom, ma l’accento era di quella etnia, era stata colta in flagrante mentre tentava di sfilare il portafoglio ad una vecchietta: una donna slava, forse una badante, se ne era accorta e l’aveva avvertita in tempo, gridando ed accusando la ladra di averci provato. Ci fu chi urlò alla ragazza di andarsene, che avrebbero chiamato la polizia, e poi ne seguì tutta una sfilza di luoghi comuni sugli zingari e sulla loro voglia di lavorare, urlata a più voci da molte persone sul tram.
E mentre la ragazza rom, scesa dal tram, mostrava a tutti il dito medio, inviperita per il suo insuccesso, Milena alla ripresa dello sferragliare del mezzo pubblico, si sentiva ribollire dentro, non poteva tollerare tutto questo razzismo, tutto questo accanirsi verso una povera donna che aveva nel furto l’unico strumento per sopravvivere. E poi questa moda di riprendere e filmare questi gruppi di ragazze, questa gogna di stampo medievale, questa incapacità di essere inclusivi da parte di una maggioranza nel paese fascistoide e repressiva, non era più accettabile.
Due fermate dopo scese dal tram, ancora pochi passi e sarebbe arrivata a casa. Con sorpresa vide che i muri del suo palazzo e quelli degli edifici a lato, erano tutti percorsi da nuovi graffiti, con scritte e schizzi senza senso, di ogni colore. Fu infastidita dalla novità, ma in fin dei conti era giusto che i giovani dessero sfogo alla loro creatività. Però sul portone scuro di casa ora troneggiava un enorme simbolo fallico di colore giallo, volgare nel suo disegno come quelli che trovi nei cessi dell’autogrill. Eh no, qui creatività proprio zero, qui c’era solo trivialità a buon mercato, solo cattiveria, si arrabbiò Milena.
Così rabbuiata salì le rampe di scale fino al secondo piano; fece per infilare la chiave per entrare in casa ma la porta era socchiusa; “ma sono così cretina da non avere chiuso stamattina ?” pensò Milena. “D’altra parte ero molto assonnata “ ripensò. Aprì e vide molto disordine in anticamera: “Possibile che non abbia messo a posto ieri sera?”
Ma poi sentì un rumore giungere dalla sua stanza e vide un’ombra nel corto corridoio. Inseguì quell’ ombra e vide cassetti aperti e svuotati, vide oggetti abbandonati per terra, piatti rotti e ceramiche frantumate. Vide; poi non vide più niente se non una ragazza molto giovane su cui si avventò con un coltello arraffato in cucina. Un’ora dopo sopraggiunsero alcuni poliziotti, chiamati dai vicini di casa, allarmati dalle urla e dai rumori che provenivano dal secondo piano.
Quando entrarono videro una donna seduta sul bracciolo di un divano con in mano un coltello sanguinante, in un angolo giaceva un corpo inanimato in una posizione innaturale. Milena, lo sguardo rivolto nel nulla, ancora dominato dall’odio, ripeteva come un mantra: “Quelle sono cose mie, quelle non le dovevi toccare, sono cose mie.”
Bel racconto !