Mentre l’Europa guarda con occhio distratto a quanto avviene nel grande mattatoio siro-iracheno, ben lungi dal considerare una qualche azione che vada oltre lo sterile “appello”, l’indifferenza più totale avvolge un altro conflitto in corso nella penisola arabica. Con non meno morti (almeno 10mila morti civili secondo le stime) e distruzioni rispetto a Siria ed Iraq, ma nell’assoluto disinteresse delle cancellerie e dell’opinione pubblica europea ed occidentale (sì, in ambito geopolitico Europa ed Occidente non sono sovrapponibili).
Stiamo parlando del conflitto yemenita, ormai trasformatosi in un pantano in stile afghano per la coalizione a guida saudita che, dal marzo 2015, è scesa in campo contro le milizie houthi ed i reparti della guardia presidenziale fedeli al deposto Saleh. Quella che doveva essere una passeggiata militare si è presto trasformata in una catastrofe per Riad. A nulla è valso mettere in campo carri armati, cannoni ed aerei di ultima generazione: l’apparato militare saudita ha dimostrato che a dispetto dei petroldollari che si possono investire nello shopping militare è ancora il fattore umano a fare la differenza. Lo stesso dicasi per gli altri componenti della coalizione araba.
Coalizione che, tra l’altro, mentre si accumulano le sconfitte inizia a perdere pezzi: gli Emirati Arabi Uniti, infatti, hanno già annunciato la decisione di ritirare le proprie truppe. Ed è facile che altri seguiranno. Anche perché le ultime notizie dal fronte non sono rassicuranti: Houthi e fedelissimi dell’ex presidente Saleh avrebbero non solo respinto le forze di Riad, ma sarebbero state in grado di lanciare un’offensiva all’interno dei confini sauditi. E questo dopo aver colpito già diverse località lungo il confine.
L’evidente crisi militare saudita potrebbe avere pesanti ricadute sugli equilibri interni al fragile regno dei Saud. Anche perché il confronto in atto nello Yemen è anche l’ennesimo capitolo dello scontro –sotterraneo, ma non troppo- tra Arabia Saudita ed Iran. Paese, quest’ultimo, che non a caso sostiene le milizie houthi con regolari rifornimenti di armi e munizioni. Lo scontro tra Teheran e Riad se ha radici nell’antico confronto tra sciiti e sunniti, ha una ben concreta posta in palio: il predominio geopolitico nel grande Medio Oriente e, più in generale, nel mondo arabo-islamico. Un confronto che dalla Siria all’Iraq allo Yemen trova sempre nuovi territori in cui manifestarsi.
Ma, probabilmente, l’aspetto più preoccupante del disastroso conflitto yemenita per il regno dei Saud è quello delle possibili ricadute interne: ritenute improbabili forti prese di posizione da parte di un’opinione pubblica ancora acerba –e addomesticata da mezzi d’informazione rigidamente controllati-, la debacle militare in corso potrebbe portare ad un “confronto finale” tra le diverse fazioni del gruppo dominante, composto in pratica dalle varie anime della vastissima famiglia reale saudita. Un confronto serrato è da tempo in atto, la crisi militare potrebbe fungere da acceleratore. E su chi potrebbe uscire vincitore è difficile fare previsioni. Ma non è possibile ignorare l’ipotesi di un’affermazione dell’ala più conservatrice e radicale.
E visto il sostegno che già oggi l’Arabia Saudita fornisce alla frange più radicali della galassia fondamentalista islamica non si tratterebbe di uno scenario confortante per i Paesi europei ed occidentali. Paesi che ancora oggi fingono di ignorare le responsabilità saudite nel sostegno – finanziario e militare — all’estremismo islamico. Anzi, continuano generosamente a rifornire di armi ultratecnologiche gli arsenali sauditi. Con quanta lungimiranza è difficile dire.