Un ‘altro pezzo del made in Italy cambia passaporto e diventa straniero. Da ieri Pininfarina è indiana, precisamente un trofeo del gruppo Mahindra & Mahindra. Addio ad un’eccellenza del design tricolore. L’ennesima.
Secondo uno studio Eurispes, i marchi italiani venduti (o svenduti) ai forestieri negli ultimi anni sono più di 430. Un’ecatombe.
Prima di Pininfarina, è toccato a Pirelli (ormai del gruppo cinese ChemChina), poi Italcementi (venduta da Pesenti al gruppo tedesco Heidelbergcement). Finmeccanica ha annunciato a sua volta la vendita di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda a Hitachi, mentre i Benetton hanno ceduto World duty free alla svizzera Dufry. Indesit è passata dai Merloni a Whirpool e Telecom è tutta gallica (Vincent Bollorè con il 20,1% e Xavier Niel con il 15% del capitale controllano l’azienda); intanto Swisscom, dopo aver comprato Fastweb e Vodafone, ha rilevato Omnitel. Non dimentichiamo poi che il 49% di Alitalia dallo scorso gennaio è di Etihad (Emirati Arabi).
Nel settore della moda ancora peggio. Il gruppo francese Louis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) ha rilevato negli anni Fendi (1999), Pucci (2000), Bulgari (2011), Loro Piana e la storica pasticceria milanese di via Montenapoleone Cova (2013). Henri Pinault, con Kering, possiede invece Gucci (2004), Bottega Veneta, Richard Ginori (2013, tramite Gucci), Pomellato (2013) e Brioni. Il mitico Valentino è roba dell’emiro del Qatar (il simpatizzante dell’ISIS…) mentre Safilo dal 2009 è di proprieta’ del gruppo olandese Hal; Poltrona Frau è passata dai Montezemolo alla statunitense Haworth. E ancora Krizia ceduta da Mariuccia Mandelli (poco prima di morire) ai cinesi di Shenzen Marisfrolg Fashion.
Ma è l’alimentare il vero camposanto dell’imprenditoria nazionale:
Pochi mesi fa Unilever ha inghiottito, dopo Algida, anche i gelati di Grom; Parmalat è controllata dai francesi di Lactalis e il fondo britannico Cvc partners (controllore della spagnola Deoleo) è il vero padrone di Sasso, Bertolli e Carapelli.