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Iran e Sauditi litigano e il Califfo ride. Per 5 buoni (?) motivi

di Gian Micalessin
5 Gennaio 2016
in Estera, Guerre e pace
0
Iran e Sauditi litigano e il Califfo ride. Per 5 buoni (?) motivi
       

Tra i due litiganti il Califfo se la gode. Mentre tra Teheran e Riad soffiano venti di guerra il Califfo Abu Baqr Al Baghdadi si sfrega le mani. Per lui e quelli come lui un’occasione del genere è veramente un dono di Allah. O, meglio, l’anticipazione della profezia, largamente utilizzata dalla propaganda dello Stato Islamico, che annuncia lo scontro finale tra Crociati e combattenti del Califfato nella citta siriana di Dabiq. La devastante crisi saudita-iraniana – innescata dall’esecuzione in Arabia Saudita dell’ayatollah sciita Nimr Al Nimr – rischia non solo di rendere impossibile la creazione di un fronte comune nella guerra allo Stato Islamico, ma anche di costringere l’Occidente a metter in campo i propri eserciti per arginare l’avanzata mediorientale dello Stato Islamico.

Per capire perché la crisi iraniano-saudita minaccia di rafforzare lo Stato Islamico e costringere l’Occidente ad un sanguinoso scontro sul terreno basta esaminare i suoi cinque scenari chiave.

1) Siria: La nuova crisi rende assai improbabile l’apertura dei negoziati di pace, previsti per lunedì a Ginevra, che puntavano ad un cessate il fuoco tra il governo di Bashar Assad e i gruppi dell’opposizione armata sunnita. I gruppi armati legati ai sauditi fanno già sapere di non voler scendere a patti con il regime alawita di Bashar Assad appoggiato dall’Iran, dalle milizie sciite di Hezbollah e dalla Russia. Il mancato cessate il fuoco vanificherà la creazione di un fronte comune contro lo Stato Islamico che potrà, invece, rafforzarsi sfruttando l’odio degli estremisti sunniti per Hezbollah e le milizie iraniane vicine al regime. E proprio l’impossibilità di delegare all’Iran e ai suoi alleati la guerra all’Isis rischia di costringere l’Occidente ad una sanguinosa discesa in campo.

2) Iraq: L’emarginazione delle tribù sunnite – estromesse tra il 2010 e il 2014 dalla vita politico, sociale ed economica dell’Iraq dall’allora premier sciita Nouri Al Maliki è stata la principale causa della crescita dello Stato Islamico e della caduta di Mosul. Ora, a pochi giorni dalla riconquista governativa di Ramadi, la situazione rischia di tornare al punto di partenza. Le tribù sunnite e filo saudite tornano ad essere una spina nel fianco per il governo del premier sciita iracheno Haider Al-Abadi che, per quanto più moderato del suo successore, resta vicino a Teheran. E, nell’assenza dell’America di Obama, lo Stato Islamico torna a rappresentare l’unica alternativa per cinque milioni di sunniti schiacciata tra i curdi a nord e il governo sciita a sud.

3)Yemen: Da dieci mesi l’Arabia Saudita guida con scarso successo la coalizione sunnita che fronteggia con bombardamenti indiscriminati la rivolta delle tribù Houti. Le tribù – accusate di praticare un cultro assimilabile all’Islam sciita e di esser armate da Teheran – controllano la maggior parte del paese mentre il bilancio della guerra civile si avvicina ai seimila morti. Gli insuccessi delle fazioni filo-saudite che ormai si limitano a controllare le zone intorno ad Aden favoriscono la crescita delle milizie alqaidiste e l’arrivo dello Stato Islamico. Mentre le milizie di Al Qaida controllano vasti territori nelle regioni sud orientali – tra cui la città costiera di Mukalla – le bandiere nere del Califfato attirano sempre più militanti nelle aree intorno alla capitale Saana. Mentre la nuova crisi iraniano saudita ha già fatto saltare un cessate il fuoco concordato a fine dicembre.

4) Libano Paralizzato dallo scontro istituzionale tra le fazioni filo saudite di Saad Hariri e le milizie sciite e filo iraniane di Hezbollah che impedisce da 19 mesi la nomina di un presidente il Libano rischia ora di scivolare nell’abisso della guerra civile. Oltre alle milizie «istituzionali» sunnite e scite, già pesantemente armate, il paese fa i conti con la presenza di migliaia di militanti dello Stato Islamico e di Al Qaida insediati in quelle aree settentrionali trasformate in autentiche retrovie del conflitto siriano.

5) Bahrain: La dinastia sunnita del sovrano Hamad Bin Al Khalifa si regge al potere grazie alla presenza di 5mila militari inviati da Arabia Saudita ed Emirati Uniti per prevenire nuove rivolte della maggioranza sciita dopo quelle represse nel sangue dal 2011. La maggioranza sciita conta però oltre il 60 per cento della popolazione e la nuova tensione iraniano saudita rischia di accrescere la voglia di rivolta. Mettendo a rischio non solo la sopravvivenza del regno, ma anche la gigantesca base navale americana sede di quella Quinta Flotta vitale per qualsiasi intervento in Medio Oriente.

Tags: Arabia SauditaBahrainguerreIranIraqISISLibanoMedio OrienteSiriaYemen
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