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Home Economia

Come la Russia beffa le sanzioni ed esporta petrolio (anche negli USA)

di Mirko Tassone
20 Giugno 2022
in Economia, Home
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Come la Russia beffa le sanzioni ed esporta petrolio (anche negli USA)
       


“Les affaires sont les affaires” è una commedia scritta nel 1903 da Octave Mirbeau, il cui protagonista, Isidore Lechat, incarna la figura dell’affarista rapace e senza scrupoli, capace di trarre vantaggio da qualsiasi situazione. L’opera, per quanto datata, è quanto mai attuale, soprattutto alla luce del delicato contesto economico determinato dalla guerra in Ucraina. Un contesto in cui, purtroppo, non mancano gli Isidore Lechat capaci di trasformare in profitti le altrui sventure. E’ il caso di alcuni Paesi che continuano a trafficare con la Russia. A svelare una situazione che starebbe sterilizzando gli effetti delle sanzioni decretate dall’Occidente, è stato il Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita con sede a Helsinki che, in un rapporto, ha messo nero su bianco come, a dispetto dell’embargo, il petrolio russo stia scorrendo a fiumi in ogni direzione. Il tutto avverrebbe grazie a triangolazioni internazionali che permetterebbero alle navi cariche di prodotti petroliferi di origine russa di arrivare addirittura nei porti statunitensi. Ovviamente, all’origine dell’escamotage ci sarebbe una colossale speculazione.

Come riporta il National  Post, “Dall’invasione russa alla fine di febbraio, i prezzi globali del petrolio sono aumentati vertiginosamente, dando alle raffinerie in India e in altri paesi un ulteriore incentivo a sfruttare il petrolio. Mosca li offre con forti sconti da $ 30 a $ 35 al barile, rispetto al greggio Brent e ad altro petrolio internazionale che ora viene scambiato a circa $ 120 al barile”. Con il petrolio russo a prezzo di saldo, a fare affari sono in tanti, a partire dagli armatori. Stando al rapporto del CERA, il 97 per cento del greggio di Mosca fin qui consegnato nei porti indiani e mediorientali avrebbe viaggiato su petroliere assicurate in soli tre paesi: Regno Unito, Norvegia e Svezia.  

Dai rapporti sul monitoraggio delle navi sarebbe emerso che tra le destinazione chiave ci sarebbe la Turchia. Tuttavia, la gran parte delle petroliere avrebbe avuto come destinazione finale l’India che, con le sue raffinerie, starebbe giocando un ruolo decisivo per dare al petrolio russo uno sbocco su mercati altrimenti preclusi a causa delle sanzioni. Ad inchiodare alle sue responsabilità, quella che con molta enfasi viene chiamata la più grande democrazia del mondo, ci sono i numeri. Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, le raffinerie indiane hanno visto lievitare  il volume  delle esportazioni di gasolio, passate da 580 mila a 685 mila barili al giorno. Un incremento reso possibile dalle accresciute importazione di petrolio russo, passate da 100 mila barili al giorno a febbraio scorso a 370 mila al giorno ad aprile, fino ad arrivare a 870 mila al giorno a maggio. Complessivamente, nel 2022, l’India avrebbe già importato dalla Russia ben 60 milioni di barili.

Una quantità gigantesca, soprattutto, se comparata con i soli 12 milioni di barili acquistati in tutto il 2021. Nuova Delhi, quindi, sarebbe oggi il principale hub di raffinazione del petrolio russo che, una volta trasformato, verrebbe inviato per l’80 per cento sui mercati asiatici. Tuttavia, come rivelato ad Associated press dalla principale analista del CREA, Lauri Myllyvirta, il 20 per cento raggiungerebbe l’Europa e gli Stati Uniti. A ciò si aggiunga che l’India non è il solo Paese ad aver accresciuto le importazioni di prodotti petroliferi russi. Nei primi 100 giorni di guerra, infatti, Mosca ha aumentato la quota di carburante esportata anche in Francia, Cina, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Il risultato è che, a dispetto delle pressioni esercitate dai governi occidentali, nei primi cento giorni di guerra Mosca ha incassato 93 miliardi di euro dalla sola esportazioni di combustibili fossili.

Una cifra colossale destinata ad aumentare nel prossimo futuro in ragione della favorevole  congiuntura internazionale. La circostanza non è sfuggita al senior advisor per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, Amos Hochstein che, nei giorni scorsi, ha  informato il Congresso della possibilità per la Russia d’incrementare le entrate derivanti dai combustibili fossili rispetto a prima del conflitto, in virtù degli aumenti dei prezzi globali e dell’accresciuta domanda determinata dall’allentamento dei blocchi causati dal Covid. Previsioni che se confermate potrebbero far sentire gli effetti delle sanzioni occidentali solo a chi le ha decretate.

Tags: energiageoeconomiapetrolioRussia
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